Nono tour del segretario di Stato Usa
Guerra a Gaza, Blinken in Medio Oriente per “l’ultima chance” di una tregua: i tre corridoi che Israele vuole controllare
Gli Stati Uniti hanno presentato una “proposta ponte” di compromesso: stop ai combattimenti per sei settimane, ostaggi israeliani scambiati con prigionieri palestinesi e aiuti umanitari nella Striscia. Anche i mediatori qatarioti ed egiziani hanno segnalato progressi importanti
Durante i colloqui in Qatar tra mediatori statunitensi, egiziani e qatarioti, gli Stati Uniti hanno presentato una nuova proposta di compromesso, definita “proposta ponte”. Hamas, tramite il suo capo politico Sinwar, chiede il ritiro completo e immediato di Israele dalla Striscia; il rilascio di tutti i prigionieri palestinesi di alto rango (come Marwan Barghouti e Ahmed Saadat); l’abbandono del piano postbellico che prevede che l’Autorità nazionale palestinese amministri Gaza sotto la supervisione di una forza internazionale.
Il governo israeliano vuole continuare a mantenere in tutta la fase negoziale – e oltre – il controllo del corridoio di Philadelphia, il valico di Rafah e il bivio di Netzarim nel nordest di Gaza. Il corridoio di Philadelphia è di importanza vitale per Israele per impedire l’afflusso di armi nella Striscia di Gaza attraverso i tunnel sotterranei. Si tratta di una stretta zona cuscinetto lungo il confine tra Gaza e l’Egitto, lunga 14 chilometri, che era stata smilitarizzata da precedenti accordi e che rappresentata l’unica via di accesso terrestre alla Striscia senza passare da Israele. Il corridoio comprende il cruciale valico di Rafah. Mentre l’incrocio di Netzarim si trova in un altro punto strategico a nordest di Gaza, a nord del quale incombe la minaccia di Hezbollah. La componente di estrema destra della coalizione di governo del primo ministro Netanyahu si oppone a qualsiasi tregua che non preveda un controllo di tali corridoi da parte delle Forze di difesa israeliane. Domenica Netanyahu ha ribadito che è necessario fare pressione su Hamas affinché accetti questa condizione per il cessate il fuoco.
La proposta ponte di Biden e dei mediatori Qatar ed Egitto congelerebbe i combattimenti per un periodo iniziale di sei settimane, mentre gli ostaggi israeliani verrebbero scambiati con prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane e gli aiuti umanitari entrerebbero nella Striscia di Gaza assediata. Sabato l’ufficio di Netanyahu ha dichiarato in una nota che i negoziatori hanno espresso un “cauto ottimismo” circa il raggiungimento di un accordo di tregua a Gaza. Anche i mediatori statunitensi, qatarioti ed egiziani hanno segnalato progressi. Il segretario di Stato americano Antony Blinken è in Medio Oriente per esortare Israele e Hamas a non far fallire i negoziati e ad accettare compromessi per quel piano che per Washington potrebbe rappresentare “l’ultima opportunità” per garantire una tregua a Gaza e un accordo per il rilascio degli ostaggi.
Blinken è al suo nono tour regionale da quando il 7 ottobre Hamas ha massacrato nei kibbutz israeliani 1.200 cittadini ebrei e ne ha preso in ostaggio 230 innescando così la reazione di Israele. Il capo della diplomazia americana ha dichiarato di essere tornato in Israele “per portare questo accordo alla conclusione” e ha incontrato il presidente israeliano Isaac Herzog a Tel Aviv, il primo ministro Benjamin Netanyahu a Gerusalemme e oggi si recherà al Cairo dove si prevede che i colloqui per il cessate il fuoco riprenderanno questa settimana. Israele e Hamas si sono accusati a vicenda dei ritardi nel raggiungimento di un accordo di tregua, che secondo i diplomatici potrebbe contribuire a scongiurare una più ampia conflagrazione in Medio Oriente. Intanto gli Stati Uniti hanno aumentato la loro presenza militare nel Golfo Persico e nel Mediterraneo orientale. Il Pentagono ha inviato nella regione la USS Abraham Lincoln, un cacciatorpediniere lanciamissili, sottomarini nucleari di classe Ohio e avanzati aerei da combattimento F-22. L’esercito israeliano resta in stato di massima allerta.
L’amministrazione statunitense inoltre ha stanziato altri 20 miliardi di dollari in aiuti militari a Israele per far fronte ai rischi geopolitici in Medio Oriente che stanno pericolosamente aumentando. Nella parte meridionale di Cipro le basi britanniche sono pronte a rispondere a qualsiasi minaccia. Teheran sa di avere i missili puntati contro e cerca dunque un modo per ripristinare la sua deterrenza contro Israele, dopo aver subìto un duro colpo sui denti con l’uccisione del leader di Hamas nella Capitale dell’Iran che era sotto protezione dei servizi iraniani. I consiglieri militari israeliani di stanza in Azerbaigian spiano ogni mossa degli ayatollah e da Baku tengono d’occhio molto vicino Teheran. L’Iran ed Hezbollah sono consapevoli di aver perso buona parte della loro capacità di deterrenza dopo l’uccisione di Fouad Shukr, un ufficiale di Hezbollah a Beirut, e solo otto ore dopo quella del capo politico di Hamas, Haniyeh, nel cuore di Teheran.
Ora si trovano di fronte a un dilemma politico: una risposta debole incoraggerebbe Israele ad andare avanti nel decapitare le organizzazioni palestinesi che mirano alla distruzione dello Stato ebraico, ma se colpissero troppo duramente la risposta di Israele si abbatterebbe su Teheran rischiando di provocare la caduta della Repubblica islamica (che sta vivendo la fase più critica della sua esistenza, con disaccordi e scontri sempre più feroci nelle faide interne al corpo dei pasdaran e nello stesso clero sciita). Ora l’Iran è di fatto con le spalle al muro e con poche carte in mano. Il regime cerca dunque una via di fuga e spera che la rampa d’uscita diplomatica che Stati Uniti, Egitto e Qatar stanno approntando per giungere a un cessate il fuoco non crolli ponendo l’Iran di fronte a una insormontabile difficoltà. E i suoi proxy, Hamas ed Hezbollah, sembrano guadagnare autonomia decisionale. Iran ed Hezbollah mettono in guardia il governo greco-cipriota invitandolo a desistere dal fornire supporto militare attivando le basi britanniche presenti nell’isola.
Intanto Teheran continua i suoi preparativi su un ampio fronte in Siria, Libano e Yemen. Il Corpo dei guardiani della rivoluzione islamica (IRGC) sta schierando in Siria un numero sempre maggiore di missili balistici e di veicoli aerei senza pilota per rafforzare la propria presenza militare. Il piano iraniano di istituire una base di difesa costiera in Siria a questo scopo è giunto alla fase finale: è stata creata una piccola base sulla costa siriana tra le città di Cableh e Banyas, quasi al confine turco, composta da ufficiali dalle forze navali iraniane dell’IRGC e da membri degli Hezbollah libanesi. Una guerra di media scala è di fatto già in corso tra Israele e Hezbollah al confine libanese e persino nella Bekaa. Sono continui anche gli attacchi da parte di forze per procura di Tehran contro le basi statunitensi nella regione.
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