Prima del 7 ottobre la dicitura “sionista” evocava una realtà ignominiosa ed era usata come un insulto in qualche scantinato neonazista o presso irrilevanti platee filo-terroriste bardate di kefiah. Nel giro di pochi mesi, all’esito di un processo indisturbato e lungo un binario di ignoranza mostruosa, quel termine – “sionista” – è diventato il contrassegno di una specificità maligna, la patacca dell’oltranzismo usurpatore e razzista che l’ebreo ostenta senza pudore dopo essersi levato dal petto la stella gialla che lo manteneva al suo posto.

Che cosa significhi “sionismo”, a quale movimento culturale, civile e politico quel termine rimandi, a quale realtà storica e sociale esso si riferisca, ecco, tutto questo semplicemente sfugge all’orizzonte delle cognizioni della fanciulla che, a capo di un corteo “pacifista”, a pochi passi dal Ghetto che fu rastrellato, grida “fuori i sionisti da Roma”. Sfugge, il significato del termine, sia al bifolco che dice all’ebreo “sionista di merda” sia all’avvocato che, difendendo in giudizio il responsabile di propaganda neonazista, spiega che il proprio assistito si limita a “combattere le politiche sioniste”.

I pionieri ottocenteschi e gli ebrei palestinesi socialisti che hanno costruito Israele sulla scorta dell’anelito sionista – uno dei tanti nell’arco di tempo che preparava e vedeva consumarsi il collasso dei sistemi colonial-imperiali – probabilmente non immaginavano che, cent’anni dopo, il loro liberarsi e difendersi dalla persecuzione millenaria di cui erano destinatari sarebbe diventato il nuovo capo di imputazione dell’inesausta retorica antisemita.

Il disprezzo e l’odio per il “sionista” erano i sentimenti di cui non aveva bisogno l’antisemitismo genocidiario prima della fondazione dello Stato Ebraico, perché il disprezzo e l’odio per gli ebrei erano autosufficienti e non occorreva ammantarli di troppe giustificazioni. Oggi – per quanto la propaganda anti-ebraica abbia assunto tratti di spigliatezza impensabili anche solo un anno fa – la libertà di dirsi antisemiti e la facoltà di esercitare la violenza antisemita trovano un impedimento solo nominalistico, un ostacolo che l’uso di quel termine, “sionista”, rimuove d’un colpo e con efficacia perfetta. Ma attenzione. Rispetto alle tradizionali menzogne (l’ebreo ladro, deicida, usuraio, pedofilo, portatore di malattie) che hanno scritto i capitoli della Bibbia antisemita e sono state usate per giustificare la persecuzione degli ebrei, l’addebito di “sionista” è simultaneamente più detestabile e pericoloso perché corrompe e trasfigura il significato di quella parola e la riformula in senso infamante.