È un paradosso che sia stato un non renziano, Simone Uggetti, ad aver chiesto al Pd di rivendicare la più renziana delle riforme, il JobsAct. È quanto accaduto nel fine settimana a Cesena, dove l’area che si rifà a Stefano Bonaccini, Energie Popolari, si è riunita per provare a definire cos’è (o cosa dovrebbe essere) il Pd riformista a cui sperano di non dover rinunciare. Prendono posto Piero Fassino, ispiratore dell’iniziativa, e naturalmente il governatore dell’Emilia Romagna, Bonaccini. Piero De Luca e Lorenzo Guerini. Alessia Morani e Valeria Valente.

All’evento arriva anche la convitata di pietra, Elly Schlein, accolta con freddezza. È davanti a lei che sale sul palco l’ex sindaco di Lodi, Simone Uggetti. Per sette anni confinato nel limbo della non-giustizia, quello in cui se sei un amministratore dem e finisci indagato ricevi dal partito non solidarietà e rispetto (vige la presunzione di innocenza) ma un marchio d’infamia supplementare, spesso gratuito. Uggetti non prendeva la parola in una assemblea del Pd dal 2016, da quando era stato arrestato, per poi finire assolto. E davanti a Schlein tira fuori dalle scarpe quei sassolini che – accumulati per sette lunghi anni – hanno finito per pesare come macigni.

Ecco allora l’occasione per smetterla con le pose e le manfrine. Uggetti gliene canta quattro. «Anche i magistrati sbagliano e bisogna avere il coraggio di dirlo! No alla subalternità». Ovazione.

Poi ha ricordato Bettino Craxi, un riformista cui rendere giustizia almeno con la memoria: «Quando un magistrato si mette a dare la caccia a una persona e non a un reato, è un grave errore!». Altri applausi. Dulcis in fundo: difende Renzi. «Non sono mai stato renziano, ma Renzi – che è stato il nostro segretario – non può essere additato per tutti i mali del mondo. Io ora faccio l’imprenditore e senza Jobs Act farei fatica». Lungo applauso dalla platea.

La segretaria Elly Schlein è in visibile imbarazzo. Tantopiù che Uggetti, prima di andarsene, passa davanti a Schlein col dito alzato: «Ancora aspetto una tua telefonata!». L’ingratitudine e la non riconoscenza per la stagione delle più dense e numerose riforme di governo targate Pd – ecco un elemento di continuità tra Schlein, Letta e Zingaretti – si mischiano con una malcelata pregiudiziale. Che non molti, nella sala di Cesena, condividono.

Nella coscienza dei riformisti dem, il Jobs Act del governo Renzi risveglia la nostalgia per un ricordo tutt’altro che negativo. A ben guardare, parliamo della misura che ha portato ad un milione di posti di lavoro, settecentomila dei quali stabilizzati a tempo indeterminato.

 

Il più noto giuslavorista italiano, Pietro Ichino, non ha dubbi nel sintetizzare la sua opinione al Riformista: «La riforma del lavoro del 2014-15 consta di una legge-delega e di otto decreti delegati, con i quali è stata riscritta la maggior parte del diritto del lavoro italiano di fonte legislativa. Quanto alla materia dei licenziamenti – la sola che interessa nel dibattito politico attuale – alla riforma del 2015 va riconosciuto il grande merito di avere armonizzato la legislazione italiana rispetto a quella di tutti gli altri maggiori Paesi UE. Non ne è derivata alcuna “precarizzazione”: il rischio di essere licenziati in Italia non è significativamente aumentato; ma si è drasticamente ridotto il contenzioso giudiziario su questa materia, che in precedenza era decisamente abnorme. Chi ci ha perso sono soltanto gli avvocati».

Legali che possono compensare operando per i sindaci e gli amministratori locali, oggetto di indagini per reati amministrativi continui. E anche su questo Energie Popolari, da Cesena, dice la sua: sull’abuso d’ufficio parlano i sindaci Antonio Decaro e Matteo Ricci, con il secondo che invoca «più garantismo, perché tanti dei nostri sono stati abbandonati al primo avviso di garanzia». E proprio Ricci dice nemmeno troppo sibillino: «Il congresso non ha risolto i problemi del Pd, le Europee saranno lo spartiacque». Virginio Merola, l’ex sindaco di Bologna oggi deputato, chiede che il programma del partito sia messo ai voti dagli iscritti, in un’assemblea. Che non decida più Schlein da sola. Piero De Luca, figlio del governatore campano Vincenzo, chiede «che il Pd sia sul serio plurale: io sono contro la Gpa».

Aldo Torchiaro

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