Il nuovo saggio di Andrea Morrone
Storia del referendum, una nobile forza di rottura
Quasi vent’anni dopo un analogo lavoro insieme ad Augusto Barbera, questo volume di Andrea Morrone ci introduce in modo aggiornato e completo allo studio dei referendum nel nostro ordinamento, tra testo costituzionale e contesto sociale e politico. La nostra nasce come “Repubblica dei partiti”, come richiama Morrone sulla base dell’insegnamento di Pietro Scoppola, e questo spiega anzitutto la cautela nell’ammettere il referendum, specie quello abrogativo, nonostante che essa fosse nata proprio su un referendum istituzionale, che ebbe il pregio di tener fuori la Costituente da una scelta divisiva.
Questo spiega anche la cautela nell’attuazione costituzionale, con un blocco che viene superato solo nel 1970 come elemento di scambio dentro una maggioranza di governo divisa: la Dc accetta che i suoi alleati votino con il Pci la legge sul divorzio, ma in cambio ottiene la legge attuativa del referendum perché una parte dei suoi dirigenti immagina ancora una società molto tradizionale a cui fare appello. Società che in realtà essa stessa, con i suoi alleati, aveva modificato in modo rilevante con l’operato dei Governi, specie con quelli della ricostruzione (p. 30). Non è stato facile, poi, lo sviluppo costituzionale dell’istituto referendario tra una giurisprudenza della Corte piuttosto restrittiva (sin dal 1978, p. 73) ma con alcuni guizzi innovativi, come il riconoscimento dei Comitati promotori come poteri dello Stato (p. 76).
I partiti, abituati alle logiche consensuali-compromissorie della prima fase della Repubblica, sempre meno efficienti, faticano a misurarsi con uno strumento che, a differenza del sistema proporzionale puro usato a vari livelli di Governo, può produrre risultati secchi, chiare vittorie e sconfitte. Così la leadership di Fanfani nella Dc viene travolta dall’errore di lettura della società sul divorzio, ma così anche il Pci paga nel 1985, con la sconfitta nel referendum Craxi-Carniti (che il Pci aveva promosso a difesa del logoro meccanismo della scala mobile contro l’innovativa politica dei redditi concertata coi sindacati) un prezzo pesante non previsto e, quindi, perde il potere di veto su una policy decisiva (p. 101).
Sono i due referendum che sconvolgono di più i pilastri del sistema, le due anomalie italiane, l’egemonia comunista sulla sinistra e l’unità politico-elettorale dei cattolici, già in fase di crisi avanzata e che poi si sarebbero dissolte. In questo senso i referendum sono stati un antipasto di democrazia maggioritaria, hanno anticipato il superamento della logica proporzionalistica (p. 537) che è stata poi oggetto della seconda ondata referendaria, quella che a partire dal 1991 è stata centrata sui diritti politici, dopo quella relativa ai diritti civili e sociali. Morrone è puntuale nel ricordare il livello di profonda crisi del sistema, della logica di logora autodifesa dei partiti tradizionali di Governo che all’inizio del 1990 porta il Governo Andreotti e il ministro dell’Interno Gava a porre quattro volte la questione di fiducia contro l’elezione diretta del sindaco per neutralizzare una maggioranza trasversale esistente in Parlamento contro un sistema in cui a livello locale era saltata ogni regola coalizionale e più in generale di raccordo tra consenso, potere e responsabilità (p. 124).
È quell’atto di conservatorismo arrogante che determina con una sorta di slavina la nascita del movimento referendario per la riforma elettorale, a cavallo tra società e istituzioni, compresi alcuni futuri costituzionalisti, che a sorpresa emerge vincitore il 9 giugno 1991, prima che inizino le inchieste di Tangentopoli (p. 136). Non ci fu quindi un sistema sano travolto da un complotto; c’era un sistema gravemente malato, già da anni il fantasma della originaria Repubblica dei partiti, e privo ormai di forza propulsiva su cui poi si innestarono le iniziative giudiziarie, anche con alcune indubbie forzature (p.1 38). Il referendum, però, non aveva solo destrutturato, aveva anche e soprattutto offerto una via di ristrutturazione, colta sino in fondo per i Comuni nel 1993 grazie anche a un ottimo intervento parlamentare sia sul sistema elettorale sia sulla forma di governo che riscattò la forzatura conservatrice del 1990 (p. 149).
Un modello estesosi poi alle Regioni in un doppio passaggio parlamentare (1995- riforma elettorale; 1999-forma di governo) e purtroppo, invece, non completato coerentemente sul piano nazionale dove cu si è limitati solo a riforme elettorali spesso contraddittorie. Per inciso: se vi piace la politica nelle sue dimensioni di trama anche sorprendente, stile Javier Cercas in Anatomia di un istante, consiglio in particolare la lettura delle pagine da 145 a 149 che spiegano come dalla Camera venne reso possibile il referendum 1993: non dico altro per non sciupare le sorprese. Morrone ci descrive anche, tra una tappa e l’altra dell’uso dello strumento, alcune innovazioni incrementali, legislative e giurisprudenziali, che hanno accompagnato l’evoluzione dell’istituto: la previsione della numerazione e della titolazione dei referendum coinvolgendo i Comitati promotori (pp. 193/194), l’intervento della Corte nello stabilire un certo grado di vincolo per il Parlamento rispetto alla non riproponibilità formale e sostanziale della normativa abrogata (pp. 360-361).
Indubbiamente, però, l’opportunità costituzionale rispetto alle conseguenze possibili dei referendum sul sistema politico ha comunque continuato a giocare un ruolo altrettanto importante delle innovazioni formali: difficile spiegare altrimenti la bocciatura del quesito che avrebbe potuto consentire la cosiddetta reviviscenza della legge Mattarella mettendo però in pericolo la coesione della maggioranza del neonato Governo Monti nel 2012 (p. 372). Anche la lettura dei risultati del referendum si è modificata nel tempo col crescere dell’astensionismo e il suo uso tattico per difendere le leggi esistenti che porta a ritenere quasi impossibile il raggiungimento del quorum. In questo nuovo contesto anche molti milioni di Sì, pur non raggiungendo il quorum e non avendo conseguenze giuridiche dirette, possono avere un peso politico importante. Alcuni quesiti, come quello sulle trivelle possono essere definiti come degli “sconfitti di successo” (p. 426).
Morrone giunge fino ai giorni nostri spiegando ad esempio come, pur con gli elementi di flessibilità e di opportunità che incidono su molte decisioni di inammissibilità, non ci fossero in realtà serie possibilità giuridiche a favore dei quesiti sulla depenalizzazione dell’omicidio del consenziente o sulla responsabilità diretta dei giudici (pp. 520-521). Venendo infine alle proposte di riforma l’Autore, tra le varie riflessioni, segnala in particolare l’opportunità di deflazionare il quorum rispetto all’astensionismo strutturale, ponendolo alla metà più uno dei partecipanti alle precedenti elezioni politiche (p. 528 e p. 541). Una riforma che, sull’onda del metodo chirurgico sperimentato in questa legislatura sulle riforme costituzionali, potrebbe forse essere adottata nella prossima.
Morrone “La Repubblica dei referendum. Una storia costituzionale e politica”, Il Mulino, Bologna, 2022
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