Al Sindaco di Teramo in occasione della dedica di una strada della città al nome e alla memoria di Marco Pannella, abruzzese e teramano.

Signor sindaco, signori assessori e consiglieri, cittadini di Teramo,
mi è costato molto non essere presente alla cerimonia che ha onorato la memoria e la vita di Marco Pannella, il quale, pur essendo vissuto quasi sempre a Roma è sempre stato orgoglioso delle sue origini abruzzesi e del legame personale e familiare con la vostra città. Vi prego di scusare i miei 87 anni e le mie condizioni di salute per questa mia assenza altrimenti ingiustificabile. Per oltre sessanta anni Marco è stato infatti non soltanto un compagno fraterno e un amico, ma è stato anche il leader indiscusso della forza politica, il partito radicale, di cui ho fatto parte divenendone per alcuni periodi e per alcune legislature segretario politico, presidente e parlamentare.

Per comprendere la grandezza politica di Pannella e della sua politica radicale, sarà sufficiente ricordare che non ha mai, in tutta la sua vita, avuto posizioni di potere e che nonostante ciò è indubitabile il contributo che, con la rivoluzione dei diritti civili, ha dato al profondo cambiamento culturale e politico del paese, conquistato andando sempre contro corrente e sapendo coniugare, grazie alla scelta della nonviolenza, l’intransigenza delle proprie idee e dei propri obiettivi politici allo spirito di apertura e alla capacità di dialogo nei confronti degli altri, anche dei propri avversari. E grazie a queste qualità e capacità che nel giro di poco più di un decennio si è riusciti ad ottenere in Italia il divorzio, l’obiezione di coscienza, la riforma del diritto di famiglia, la parità di diritti fra uomo e donna, la legalizzazione dell’aborto, la riforma psichiatrica e l’abolizione dei manicomi, la riforma dell’ordinamento e dei codici militari, riforme che nei decenni precedenti erano state impedite e bloccate.

I suoi meriti non si fermano a questo. Perché Pannella ha saputo anticipare le globalizzazione e ha intuito che un fenomeno per molti versi inarrestabile doveva essere guidato e governato e, per farlo, ha indicato la strada a lungo tentata di un impegno europeo, occidentale e delle Nazioni Unite contro la fame nel mondo. Per il suo spirito religioso e per la scelta gandhiana della nonviolenza, ma anche per non essersi ritratto dal dialogo con la Chiesa, è stato da qualcuno trattato alla stregua di un guru se non addirittura di uno sciamano per meglio oscurarne le qualità di leader politico riformatore.

Per gli stessi motivi si è detto che a causa del suo carisma il partito radicale sarebbe stato un partito carismatico ma, come ha chiarito Weber, un tale partito richiede la presenza di due requisiti – il fideismo e la subalternità – che sono del tutto assenti nella storia e nella prassi radicale, un partito caratterizzato da un profondo spirito libertario e da una intenso confronto democratico, scandito dal ritmo dei congressi annuali. Un partito che ha avuto una classe dirigente di rilievo, protagonista in prima persona delle lotte radicali e che proprio per questo, invece di soggiacere alla volontà di un solo leader, ha prodotto – anche per impulso di Pannella, molti leader delle sue lotte politiche: da Mellini a Fortuna, da Faccio a Bonino, da Adelaide Aglietta a Enzo Tortora fino a Luca Coscioni e Piergiorgio Welby.

Consentitemi infine di ricordare, che dopo aver inutilmente attaccato e combattuto i vizi degenerativi della partitocrazia, Pannella ha per tempo, insieme a Mario Segni e Bartolo Ciccardini, avvertito i rischi di crisi dell’ordinamento repubblicano e ha tentato il dialogo con tutti per tentare di convincerli alla necessità di una autoriforma dei partiti e della riforma dell’ordinamento politico repubblicano. Lo ha fatto con i comunisti di Occhetto, con i democristiani di Martinazzoli e Andreatta, senza ritrarsi quando è stato il loro turno di fronte a Berlusconi e Bossi. Lo ha fatto ricorrendo alle armi del referendum e al tentativo di riforma delle leggi elettorali. Sappiamo come è andata anche se alcune di quelle riforme nei Comuni e nelle Regioni hanno retto alla prova del tempo. Sul piano del governo e delle istituzioni nazionali questo non è avvenuto. E di questa sconfitta paghiamo ancora le conseguenze.