Leonardo Sciascia: «È il solo uomo politico italiano che costantemente dimostri di avere il senso del diritto, della legge e della giustizia». In questo modo sintetico e preciso, essenziale, il “Maestro di Regalpetra” descrive Marco Pannella. È l’alfa e l’omega della vita di un leader politico che segna il suo tempo, non ha eredi, come patrimonio culturale e ideale lascia solo il suo esempio: quello del “dire”, della parola che sa come e dove colpire; e il “fare”, il gesto, in prima persona: che puoi non condividere, ma non puoi non ammirare, per la concreta, paziente, quotidiana coerenza che rivela.

Pannella avrebbe novant’anni, non fosse stato ucciso da un doppio tumore il 19 maggio del 2016. Era il 1971, un’era geologica fa, quando per la prima volta ho conosciuto Marco Pannella: praticamente è una vita. Anni fa, Marco era ancora tra noi, ho scritto un libro su di lui, Biografia di un irregolare; non ne sapeva nulla, né avevo il coraggio di dirglielo. Il libro l’ha visto stampato, temevo un’ira funesta: è venuto dieci volte, in dieci città diverse, a presentarlo. E poi almeno una cinquantina di articoli e contributi per altri libri, l’ho intervistato per il TG2 una decina di volte, un paio di dossier di una cinquantina di minuti, su di lui e il suo partito; e ora mi accorgo che sono riuscito a raccontare sì è no un terzo di quello che ha rappresentato, è stato, continua a essere.

Pensate ad alcune frasi chiave: quando a Palmiro Togliatti, il “migliore” dell’allora Grande Partito Comunista, dice no alla sua proposta di unità delle forze laiche, ed oppone l’unione laica delle forze. Pensate la vista lunga di quando scrive quel Manifesto contro lo sterminio per fame nel mondo poi sottoscritto da centinaia di premi Nobel, un documento politico unico nel suo genere, dove già si prefigurava, quarant’anni fa, quello che accade oggi, e già allora si offrivano soluzioni e proposte operative concrete. Pensate a quel «Per il diritto alla vita, per la vita al diritto». Pensate a: «Dove c’è strage di diritto c’è strage di persone, di popoli». Pensate alla sua ultima battaglia politica: per il diritto umano e civile alla conoscenza.

A tutti noi vorrei ricordare il poeta Eugenio Montale, premio Nobel per la Letteratura nel 1975. Proprio quell’anno, Montale scrive: «Dove il potere nega, in forme palesi, ma anche con mezzi occulti, la vera libertà, spuntano ogni tanto uomini ispirati come Andrej Sacharov e Marco Pannella, che seguono la posizione spirituale più difficile che una vittima possa assumere di fronte al suo oppressore. Il rifiuto passivo. Soli e inermi, essi parlano anche per noi».
Voglio aggiungere che è luogo comune banale e miope quello che spesso si sente ripetere: Pannella come il dio Crono, che mano a mano divora i suoi figli. È esattamente il contrario: sono le sue figlie, sono i suoi figli ad essersi cibati delle sue carni, ad aver fatto carriera. Lo si è visto. Lo si vede. Chi ha avuto la fortuna di conoscerlo e frequentarlo forse non è del tutto consapevole del privilegio che la vita gli ha riservato.

Spiace che il presidente della Repubblica, ma anche i vertici delle istituzioni non abbiano rivolto un pensiero grato e riverente, a Marco Pannella. Spiace. Ma in fin dei conti, è nell’ordine delle cose. Pannella diceva: «Da vivo mi trattano come fossi morto. Da morto mi tratteranno come fossi vivo». Sbagliava. Da morto hanno ben cura di cancellarlo, cercano di farcene smarrire la memoria. Non ci riusciranno.