"Progetto colpevoli"
Strage di Erba, perché Rosa e Olindo sono estranei ai fatti: il nuovo processo e la grancassa mediatica

Renay Lynch è una donna afro-americana che nel 2022 è stata scarcerata dopo ventisei anni scontati per avere derubato e assassinato il suo padrone di casa.
Ah certo la signora Lynch aveva confessato. Un testimone puntava il dito contro di lei e le forze di polizia hanno lavorato a senso unico per dimostrare l’intuizione dei procuratori.
Un caso da manuale di “wrongful conviction” secondo l’associazione statunitense “Innocence Project” che nasce per rivedere tutti i casi controversi. Raccoglie risorse e attira attorno a sé le migliori personalità del mondo forense per riaprire casi che altrimenti rimarrebbero sepolti nel dimenticatoio.
Il caso della signora Lynch ha molte cose in comune con la tragica storia della «Strage di Erba» un orrendo crimine commesso nel 2006 ai danni di tre donne e un bambino di due anni per il quale oggi scontano la pena dell’ergastolo due persone, Rosa Bazzi e Olindo Romano, che ogni persona che conosca in profondità il fascicolo processuale considera estranee ai fatti.
Rosa, Olindo e i dubbi sulle prove della strage di Erba
Eppure anche loro hanno confessato. Un testimone in aula racconta che il suo aggressore era Olindo Romano e un macchia di sangue sul battitacco della sua autovettura lo collega a una delle vittime. Almeno così dicono le sentenze e così è stata raccontata dalla grancassa mediatica che accompagna ogni storia che viene processata prima in tv e poi in aula.
Poi vai vedere il fascicolo e scopri che il testimone al suo risveglio punta l’indice contro un soggetto che «non era di qua» e che avrebbe saputo riconoscere, con caratteristiche somatiche («olivastro»; «tanti capelli» e più alto di lui) distanti da quelle di Olindo (più basso, stempiato, bianco). Che il RIS di Parma che ha analizzato la scena e ribaltato come un calzino casa e pertinenze dei coniugi non trova una sola traccia che connetta vittime e presunti carnefici. Che la famosa traccia ematica non l’ha mai vista nessuno, sicuramente nessuno l’ha fotografata. E per scoprirlo è bastato andare a chiedere a chi, secondo i verbali, l’ha rilevata e repertata. Un gentile Carabiniere in pensione che con molta onestà riconosce la possibilità più che concreta che possa essersi trattato di una involontaria contaminazione. E sulle confessioni ci si può limitare ad ascoltare tutte, ripeto tutte, le audioregistrazioni per capire dopo quanto tempo si arriva a dei racconti talmente surreali che la Corte d’Assise definisce “perfetti e sovrapponibili” e quella d’Appello «piene di contraddizioni».
La Corte d’Appello di Brescia ha ammesso l’istanza di revisione presentata da un coraggioso magistrato e dalla difesa. E in quanti hanno pensato di dire una parola sul fatto che il Giudice Cuno Tarfusser per avere fatto ciò che ha ritenuto suo dovere, esercitando un suo diritto, deve subire un procedimento disciplinare? Oppure sul fatto che diciassette anni dopo non solo si ripetono sui giornali le vecchie bugie, ma ne vengono aggiunte di nuove per difendere non si capisce più bene se l’onore della magistratura o anni di giornali farciti di sciocchezze?
E il “progetto innocenti” italiano, che si ispira a Innocence Project americano, se la sente di battere un colpo? Negli Stati Uniti duecentocinquanta le persone hanno riacquistato la libertà.
E i numeri raccolti dall’associazione dovrebbero mettere paura a tutte le persone di buon senso.
Dal materiale di 325 casi di persone condannate a morte o alla pena dell’ergastolo che sono state poi scarcerate grazie a nuove prove o a una nuova lettura di quelle disponibili si scopre che nel 47% dei casi la prova scientifica era stata erroneamente interpretata o mal raccolta; nel 75% dei casi il testimone aveva compiuto un errato riconoscimento; nel 27%, quindi almeno una volta su quattro, gli imputati avevano confessato un crimine che non avevano commesso.
Nel caso della signora Lynch la polizia ha nascosto le impronte digitali che avrebbero, forse, puntato le indagini verso un altro inquilino dell’uomo assassinato.
E una storia investigativa e processuale come quella della «Strage di Erba» sarebbe stata certamente nella loro agenda. Ma si sa, l’Italia non è l’America. E se proprio si dovesse dare un nome al circoletto mediatico-giudiziario che imperversa in questo paese potremmo chiamarlo «conviction project», “progetto colpevoli”. Suona molto italiano, vero?
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