Dopo decenni di domande, con il mio nuovo libro “Il quinto scenario – atto secondo” (edizioni Fuoriscena) io ho fornito risposte. Precise e interamente basate su documenti, fatti e testimonianze dirette. Dopo quello italiano, americano, francese e libico, e cioè i quattro scenari sui quali media e magistratura indagano da decenni senza essere riuscire ad andar oltre ipotesi pur suggestive ma basate solo sulle anomalie, gli insabbiamenti e le menzogne di cui questa vicenda abbonda, io mi assumo la responsabilità di dire che l’unico scenario storicamente, militarmente e geopoliticamente conforme alla realtà del momento è “il quinto”: quello israeliano.

Anche perché in un documento, originariamente classificato come “riservatissimo”, l’ambasciatore italiano a Tripoli da me trovato attesta che il presupposto di TUTTI gli scenari alternativi al quinto – che un aereo libico, con o senza Gheddafi a bordo, dovesse essere in volo quella sera – era errato. E poi ci sono i precedenti: l’unico caso equivalente nella storia dell’aviazione mondiale è risultato attribuibile a Israele. Non solo: sette anni prima di Ustica, l’Aereonautica israeliana aveva per errore abbattuto un aereo passeggeri civili, causando la morte di oltre 100 passeggeri, e due anni dopo Ustica aveva messo in atto un agguato aereo che solo all’ultimo momento era stato abortito evitando così la morte di 30 bambini palestinesi.

Israele aveva inoltre sia la capacità militare sia una motivazione per compiere un atto di guerra nel mezzo del Mar Tirreno. La prima l’aveva dimostrata 5 anni dopo Ustica andando a bombardare il quartier generale dell’OLP a Tunisi senza che alcuna Difesa aerea – né maltese, né libica, né tunisina, né italiana – se ne accorgesse. E il movente era il più potente immaginabile: l’allora Primo Ministro Menachem Begin era convinto che in gioco ci fosse la sopravvivenza stessa del suo Paese. A metterla a repentaglio era il presidente iracheno Saddam Hussein che, sulla base di un programma di collaborazione nucleare con Francia e Italia, stava segretamente lavorando su una bomba atomica.

Ho poi accertato che quel 27 giugno 1980 era previsto l’invio in Iraq dalla Francia di 12 kg di uranio arricchito al 93% (cioè pronto per un uso militare) e che avrebbe percorso un’aerovia parallela a quella del DC-9 dell’Itavia. La mia conclusione è che l’Aeronautica israeliana si sia attivata per abbattere l’aereo cargo civile che avrebbe dovuto trasportare l’uranio, sbagliando però bersaglio. Per verificare il mio scenario, il bravissimo Luca Chianca, di Report, è riuscito a intervistare David Ivry, comandante dell’Aeronautica israeliana all’epoca dei fatti. Pur ammettendo che i «suoi» caccia erano in grado di volare «in molti posti» dei quali era bene «non si sapesse», Ivry ha giurato che Ustica non era tra questi. L’ex portavoce di Begin, Shlomo Nakdimon è stato invece molto più trasparente.

«Ha intervistato David Ivry?» ha chiesto a Chianca in coda al loro incontro.
«Sì» ha risposto il giornalista di Report.
«E cosa le ha risposto?».
«Ha negato».
«Adesso io voglio che lei sappia un’altra cosa parlo in generale – ci sono cose, le più drammatiche, di cui non si può parlare». Appena dopo aver sostenuto di parlare «in generale», Nakdimon ha però incautamente aggiunto una frase che lega in modo palese quel suo commento all’evento di Ustica: «Qui si trattava anche dei rapporti fra noi e la Francia». L’ex portavoce di Begin ha poi concluso con un’affermazione a mio giudizio straordinariamente vicina a un’ammissione di responsabilità: «Ci sono cose che non si possono dire neanche in segreto. Sono cose che non saranno mai conosciute, e saranno portate nella tomba delle persone che le hanno vissute».

Claudio Gatti

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