L’agevolazione della discordia. È soltanto il “ superbonus” del 110 per cento che, con la cessione del credito, risulta essere stato strumento di attività fraudolente o lo sono pure tutte le altre forme di “bonus”, costituendo le frodi relative al primo, come da alcune parti viene segnalato, solo il 3 per cento di quelle concernenti il totale delle attività in questione? Sono dati affidabili? Occorre una tempestiva chiarezza sul fenomeno, cominciando ovviamente dalla completezza e affidabilità dei dati prima di riversare, con un’enfasi eccessiva, solo sul “110” per cento l’accusa della più grande truffa della Repubblica. E il dovere di una rapida, completa trasparenza spetta al Governo, che non può limitarsi alle dichiarazioni in conferenza-stampa.

L’einaudiano “conoscere per deliberare” – che vale anche come informare puntualmente per mettere in condizione pure i cittadini di decidere correttamente – non può passare ora in secondo piano, dopo essere stato sbandierato in occasioni solenni. I dati corretti potrebbero, a differenza di ciò che si è testé detto, anche confermare che è il “ superbonus” la pietra dello scandalo, ma potrebbero pure arrivare, e con maggiore probabilità, alle accennate conclusioni contrarie. Sia chiaro: ciò non significa che si voglia escludere l’introduzione di controlli e controllabilità, che, invece, sono essenziali. Ma non giova a nessuno muovere dalle attività fraudolente da quantificare per arrivare a sostenere che si sta gonfiando troppo l’edilizia, dopo aver magari condiviso negli anni passati la tesi secondo la quale quand le batiment va, tout va, il valore, cioè, propulsivo di tale attività. Né si può ora cogliere l’occasione per stabilire una sorta di comparazione tra l’edilizia e le difficoltà dell’“automotive” al fine di spostare fondi verso quest’ultimo settore che, semmai, ha bisogno di misure ad hoc.

Ma ciò dovrebbe avvenire dopo un’approfondita analisi della sua condizione e riproponendosi di non ripercorre la strada seguita per oltre cinquanta anni, quando la Fiat, nei ricorrenti momenti di difficoltà, “bussava” a misure pubbliche facendo leva sulla condizione del lavoro, che certamente richiedeva protezione anche con gli ammortizzatori sociali, e spingeva per una svalutazione della lira al fine di recuperare una però fragile competitività. Si possono costruire nella piena, giusta autonomia nuove aggregazioni e nuove strutture societarie, nuove localizzazioni in altri Paesi, nuove intese con altri Governi – per non parlare delle attività collaterali, ma non connesse con quelle dell’ “automotive” – e poi chiedere l’intervento pubblico di sostegno evidenziando, magari, i problemi per l’occupazione che pur possono essere fondati? Ma, allora, la mano pubblica dovrebbe avere un ruolo preminente ab origine, anche per evitare il materializzarsi dell’antico slogan sulla privatizzazione dei profitti e la pubblicizzazione delle perdite.

In ogni caso, la questione del “ superbonus” va affrontata con rigore, avendo presente che su di essa, se non si presentano dati e analisi fondati, si possono scatenare strumentalizzazioni politiche, che cominciano a riscontrarsi, ed esercitare lobby varie, al di là delle migliori intenzioni di chi cerca di fare pulizia. L’inquadramento in tutte le categorie dei “bonus” è fondamentale, così come lo sono le norme, con valenza generale, che disciplinano il procedimento di cessione del credito e la sua controllabilità. A differenza di quanto si scrive, non è materia soltanto della normativa “antiriciclaggio” alla quale, considerata la sua estesa applicabilità, si fa riferimento, spesso, quando si ritiene che manchino altre norme. E si pontifica con l’immancabile “noi lo avevamo detto”. Se la cessione del credito prevista dalla disciplina del “superbonus” si rende ammissibile solo nell’ambito dei soggetti sottoposti a Vigilanza e, in ogni caso, a controlli pubblici, come per gli intermediari bancari e finanziari soggetti alla supervisione della Banca d’Italia, e si aggiungono altri controlli, per esempio, dell’Agenzia delle entrate, allora sarebbe contraddittorio limitare drasticamente il numero delle cessioni consentite.

Ma, come si è accennato, la revisione deve riguardare l’intera serie dei “bonus”. Prima, ancora, un chiarimento è necessario sul permanere o no della linea delle agevolazioni pubbliche di questo tipo all’edilizia. Non potrebbe, lo Stato, di fatto piegarsi a illeciti gettando l’acqua sporca e il bambino, dando per scontata l’impossibilità di un’efficace normativa e di un corretto sviluppo delle operazioni di cessione dei crediti. Con un’efficace applicazione della regola della stupidità creata da Carlo Maria Cipolla. C’è, invece, una politica da mettere a punto, così come occorre fare per i settori in crisi, ma non una smobilitazione. Piuttosto, occorrerebbe rilanciare una corretta politica industriale, che non significa affatto dirigismo, supergestione o forzatura del mercato. Si prenda esempio dalla Francia. Ma, purtroppo, il solo evocare una tale politica stimola una ingiustificata reazione di rigetto in alcuni settori del Governo. Che, poi, saranno magari gli stessi a patrocinare incentivi e bonus.