Il cambio di regia
Terza stagione de “L’amica geniale”, Daniele Lucchetti: “Ecco cosa succederà a Lila e Lenù”

Arriverà il 6 febbraio in prima serata su Rai1, la terza stagione della serie italiana più attesa ed amata oltreoceano, L’Amica Geniale. Connubio tra Rai Fiction e l’americanissima Hbo e tratta dal terzo libro della quadrilogia di Elena Ferrante, Storia di chi fugge e di chi resta, la serie ritrova le protagoniste Elena e Lila ormai donne, sullo sfondo dei tumultuosi e rivoluzionari anni 70. Per dirigere la terza stagione, lo sceneggiatore e regista delle prime due, Saverio Costanzo, lascia lo scettro al regista di La nostra vita e Mio Fratello è figlio unico Daniele Luchetti che incontriamo a poche ore dalla conferenza stampa.
Come ha accolto questo passaggio di testimone alla regia? Ha subito detto Sì? Perché?
Il Sì è stato immediato. Io sono sempre stato un fan di L’amica geniale e ho sempre desiderato farla fin dalla prima stagione. Quando mi è arrivata la proposta quindi è stato un regalo, una sfida e una sorpresa e ne sono stato molto contento. Il discorso è che subito dopo ho pensato: “Ma c’è uno spazio per un regista laddove la serie è già impostata e il romanzo già scritto?”. Mi sono accorto abbastanza velocemente che ce n’era ed era enorme. Un regista ha la possibilità di sabotare una serie, di farla fallire, di entrarci in competizione oppure di cercare di differenziarsi a tutti costi e quindi di tradirla. Io ho deciso invece di stare agganciato il più possibile al libro, ai personaggi, e di cercare per loro uno spazio di profondità recitativa e interpretativa. Così facendo, mi sono trovato in realtà di fronte a un prodotto che assomiglia più a un mio film nel processo che al tentativo di replicare una serie. Mi è stata lasciata una libertà totale da parte dei committenti e anche da Saverio Costanzo che ogni tanto interpellavo chiedendogli aiuto su una scena. Lui rispondeva un “fai come… ti pare”. Evidentemente se chiamano un regista come me che ha già una storia, un’esperienza e una personalità, desiderano quindi che quella personalità venga messa in atto. Poi c’è un altro elemento, gli anni raccontati sono diversi rispetto a quelli delle precedenti stagioni, si riempiono di colori, la storia si svolge in esterno e i personaggi hanno un’etica domestica e politica allo stesso tempo, una coscienza politica e una non-coscienza politica che non era minimamente raccontata nelle precedenti stagioni.
Come avete trovato il modo di rendere efficace quanto quell’epoca ha significato in termini di conquiste di autonomia e libertà?
È stato molto difficile all’inizio, abbiamo passato un bel po’ di tempo a guardare con gli attori i video delle assemblee degli anni 60-70 perché quando leggevano delle battute non sapevano proprio che pesci prendere. In prova abbiamo cercato di far capire loro i toni poiché recitando quell’epoca, non avendola vissuta, si tende spesso a parodizzare o a enfatizzare. Invece, cercare la quotidianità del dibattere, è stata una delle sfide più difficili. Per non trovarmi a filmare manifestazioni politiche e assemblee che suonassero false e poco energetiche, ho risolto spiegando alle 300-400 comparse la storia durante le riprese. Mi mettevo lì con il megafono e raccontavo a tutti perché questi ragazzi volevano cambiare il mondo e i sentimenti che provavano perché me lo ricordavo da quando ero bambino. Ho cercato di trasmettere quell’energia positiva e di speranza nel futuro e ho visto che queste folle piano piano si esaltavano fino ad un’invidia per quel tempo passato. Questa è stata una delle sfide narrative più importanti, quella di far credere tutti, dall’ultima comparsa all’attore che recitava, in quello che stavano facendo, con un tono che fosse autentico e compatibile con l’epoca.
Ha dovuto fare anche un lavoro “casalingo”, dar voce cioè ai cambiamenti che avvenivano all’interno delle mura domestiche.
Sì, infatti io lo definisco un racconto epico-domestico perché attraverso il desiderio di cambiamento di Elena si vede in realtà lo scontrarsi anche all’interno di famiglie progressiste di sinistra, con la realtà dei fatti. La donna doveva occuparsi della cura della casa anche se il marito era un professore universitario che credeva nel progresso della donna e della democrazia. Infatti a un certo punto Pietro, il marito di Lenù, a proposito del libro che sta scrivendo le dice in pratica “Sì, il libro fallo ma non togliere tempo al mio lavoro”. Nel senso, “occupati prima delle cose di casa”. Questa è una battuta centrale di tutta la stagione perché la Ferrante aveva notato con accuratezza che la rivoluzione all’epoca, in molti casi, si svolgeva solo a parole. C’è stata poi l’ulteriore difficoltà di dover spiegare a delle ragazze di 17/18 anni, moderne, com’era una madre di famiglia giovane all’epoca, come si comportava, che sentimenti provava quando anche lo studio doveva ritagliarselo magari nella stanza dei giochi dei bambini. Lo status familiare di quell’epoca è stato ricostruito anche dal punto di vista della geografia domestica.
Con un equilibrio diverso, ancora di battaglie per la parità ne stiamo facendo. In questo senso la serie si connette molto con l’oggi. Come avete lavorato su questo?
La scrittura della Ferrante non è ideologica, anzi direi che è anti-ideologica. Si occupa non di politica ma di persone che fanno politica e direi che la differenza è fondamentale. La serie non vuole dimostrare una tesi ma vuole raccontare con verità dei personaggi che in quel tempo hanno fatto politica o che l’hanno fatta inconsapevolmente. Si facevano certe battaglie e certe volte si assisteva a queste lotte stando seduti a tavola, guardando la televisione.
Di cosa è più orgoglioso?
Sicuramente delle performance attoriali di tutto il cast che è stato preparato e coinvolto con improvvisazioni, in modo tale che quel che accadeva davanti la macchina da presa accadesse per la prima volta. Togliere dalla serie il costruito e dargli una sensazione di freschezza. Spero di esserci riuscito.
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