Dov’è Toomaj Salehi? Perché non ci sono più notizie di lui? Come sta fisicamente e mentalmente dopo mesi di torture? Sono in molti a chiederselo tra la “generazione Z” in Iran che trae dal re della break dance iraniana ninfa per la sua lotta di liberazione dal nuovo satrapo persiano. Di lui si è persa ogni traccia. Toomaj con la sua musica aiutava i giovani a eludere la repressione del regime su Internet. Era parte, assieme all’altro artista rap Saman Yasin, del movimento clandestino che combatte la censura online durante le proteste e la disobbedienza civile contro l’apartheid di genere. Il trentaquattrenne rapper fu arrestato una prima volta nel settembre 2021 subito dopo l’uscita del suo brano anti pasdaran “Rat Hole” (La Tana del Topo, 2021) in cui esorta gli agenti del regime, i lobbisti e gli apologeti, a cercare un posto dove nascondersi. Toomaj è spesso ricordato proprio con un ritornello di questa sua canzone in cui dice, rivolto ai pasdaran: “Comprati un buco di topo per andare a nasconderti”.

Dopo una settimana di efficaci proteste sui social media fu rilasciato su cauzione in attesa del processo. Nel gennaio 2022, la Corte rivoluzionaria islamica di Shahinshahr lo condannò a sei mesi di reclusione con sospensione della pena e al pagamento di una multa. Fu arrestato di nuovo il 30 ottobre 2022 assieme a un gruppo di suoi amici nel villaggio della provincia occidentale di Chahar Mahaal-Bakhtiari per poi essere tradotto in un luogo sconosciuto. Ha resistito a indicibili torture a lui inflitte dagli aguzzini dei guardiani della rivoluzione che volevano estorcergli una falsa confessione.
Circa un mese fa era stato ancora una volta liberato su cauzione, ma solo per alcune ore perché è stato nuovamente arrestato, per meglio dire “rapito” per strada, da agenti pasdaran in borghese che lo hanno riempito di botte e colpito con il calcio dei kalashnikov. Lo hanno trasportato in un luogo sconosciuto senza un mandato di cattura. Toomaj non si è mai lasciato intimidire. Ha continuato a dire la verità e ora è di nuovo in prigione.

Il regime iraniano vuole terrorizzare la popolazione con il messaggio che nessuno, nemmeno la persona più popolare, può sottrarsi alla sua feroce repressione. Il musicista ha rappato anche sulle sue popolari piattaforme mediatiche la rivoluzione delle coraggiose donne iraniane che dal 16 settembre, dopo l’uccisione della giovane curda Mahsa Amini ad opera della polizia morale, si erano ribellate pacificamente per porre fine al regime di apartheid di genere praticato dal 1979. Il rapper è l’ennesima figura di alto profilo ad essere perseguitata. In una sua intervista rilasciata prima di finire nel famigerato penitenziario di Evin, denominato “prigione degli uomini illustri”, aveva paragonato i guardiani della rivoluzione a una organizzazione mafiosa, pronta a uccidere i figli dell’intera nazione pur di mantenere il potere, il controllo economico del paese, il denaro e le armi. Il musicista è noto per le sue canzoni piene di un ribelle fervore politico. I suoi videoclip sono girati in località anonime e periferiche in varie province iraniane.

È un artista “underground” di cultura “hip hop” che si muove nel solco della corrente dei rapper attivisti nel campo politico-sociale e dei diritti civili e che si servono della loro forte attitudine comunicativa per esprimere opinioni politiche bandite dal governo. Il rapper dissidente è una delle voci più forti che si leva dalle strade alle prigioni contro i mullah, i suoi testi non parlano di sesso e droga, ma di diritti fondamentali, dei diritti delle donne, di libertà e del fatto che gli iraniani dovranno riprendersi il loro paese e cacciare via per sempre gli ayatollah. “Non aspettare un soccorritore: sei tu l’eroe! Se tu ed io diventiamo un’unità, allora non ci sono limiti”, rappa Toomaj in una delle sue note canzoni. Tutta la sua famiglia è stata perseguitata per quattro generazioni e lo è tuttora. Sua madre fu arrestata perché accusata di aiutare i prigionieri politici, morì per le sofferenze patite. Due suoi zii, Farshid di 19 anni e Houshang di 21 sono stati uccisi dal regime prima che lui venisse al mondo. L’artista è figlio di una famiglia appartenente al gruppo etnico dei bakhtiari e non è un caso che le sue canzoni insistano sull’importanza della coesione tra i diversi popoli iraniani. “Se il mondo avesse un solo colore, bianco o nero, non sarebbe bello”. Per Toomaj la rivoluzione “Donna, Vita, Libertà” è un “ruggito di mille rabbie” ed è espressione delle radici rivoluzionarie di arabi, assiri, armeni, turkmeni, mazni, sistani, beluci, talesh. Tat, azeri, curdi, gilak, lur, persiani, qashqai. “L’Iran è un insieme di fiumi”, sostiene Toomaj.

Stessa persecuzione è toccata anche al rapper curdo Saman Yasin, 28 anni, accusato di aver manifestato per la liberazione dell’Iran. Anch’egli è stato brutalmente torturato nelle prime tre settimane della sua detenzione. Era stato condannato a morte, ma per fortuna la sua condanna è stata revocata. Il messaggio al centro delle proteste in Iran è per questo del tutto inedito e dirompente. Un messaggio che sta unendo centro e periferia con slogan molto eloquenti. “Curdi, beluci, azeri, bakhtiari, libertà e uguaglianza” e il motto “Donna, Vita, Libertà” equivale a rivendicare: “Democrazia, laicità, libertà, diritti civili e diritti delle minoranze”. Questo carattere della rivoluzione dei giovani in Iran ha fatto letteralmente impazzire il regime oltretutto alle prese con una terribile crisi economica.

A scendere nelle piazze sono i giovanissimi e a sfidare i mullah a mani nude, con la disobbedienza civile, con canti e balli e sventolando il velo come una bandiera nelle strade nei parchi e nelle metropolitane, è una generazione che sa di non aver più nulla da perdere: una generazione che rifiuta l’ipocrisia di vivere la libertà solo nello spazio privato e la rivendica ovunque, a cominciare dallo spazio pubblico. Intanto nelle prigioni del paese, quotidianamente, si registrano impiccagioni, prevalentemente di curdi e beluci e ad attendere il boia in queste ore è la giovane Samira Sabzianfard, 29 anni, arrestata dieci anni fa con l’accusa di aver ucciso suo marito. Era stata una “sposa bambina”, ora è in isolamento nel braccio della morte nella prigione di Qarchak.