Il presidente russo Vladimir Putin vola in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi Uniti. Per il leader del Cremlino si tratta di un viaggio particolarmente importante e che mostra anche la nuova geografia dei rapporti internazionali e degli equilibri in questa fase di grandi sommovimenti geopolitici. Per Putin, infatti, si tratta non solo del primo viaggio a Riad e Abu Dhabi dal 2019, ma soprattutto si tratta della prima visita di Stato dall’inizio della guerra in Ucraina in due Paesi diversi dai suoi vecchi e nuovi “alleati” (ovvero Cina e Iran) e da quelli un tempo parte del blocco sovietico. Un viaggio, dunque, che riporta il presidente russo sullo scenario internazionale. E certamente non è un caso che Putin abbia scelto proprio le due più attive potenze arabe per riattivare anche la sua presenza fisica sul palcoscenico della diplomazia.

Da tempo la Russia ha messo il Medio Oriente al centro della sua agenda estera. Dall’intervento militare in Siria alla sinergia con la Turchia, dall’alleanza con l’Iran (il cui presidente Ebrahim Raisi sarà proprio a Mosca questo giovedì) ai buoni rapporti con l’Iraq, dai tradizionali legami con Egitto e Israele, pur con forti divergenze con quest’ultimo, fino alle partnership con le potenze del Golfo, la rete mediorientale del Cremlino è ramificata e profonda. Per Mosca sono diversi gli aspetti, di cui tenere conto. Il mercato energetico, fondamentale per le casse del Cremlino, la creazione di un sistema di alleanze per tutelare il fronte sud della Russia, senza dimenticare l’influenza che gli attori mediorientali e la Russia hanno in Africa. Ma questa trama mediorientale ha assunto negli ultimi tempi anche un altro ruolo: quello di strumento del leader russo per evitare quell’isolamento internazionale ritenuto invece prioritario da parte dell’Occidente. Cosa che ha reso i leader della regione degli interlocutori non solo privilegiati, ma anche volutamente considerati da Putin come anche più rilevanti rispetto a quelli che dopo l’invasione dell’Ucraina hanno voluto dare interrompere i rapporti con il Cremlino. A partire dai rappresentanti europei.

Oltre che per i rapporti con le due più importanti potenze arabe (l’Arabia di Mohamed bin Salman e gli Emirati di Mohammed bin Zayed Al Nahyan, prossimamente anche nei Brics), il blitz di Putin ha poi un significato cruciale per quanto riguarda le tempistiche, che rendono questo viaggio non solo altamente simbolico ma anche rilevante sul piano geopolitico. Il presidente russo, infatti, compie questo viaggio in Medio Oriente mentre la regione è incendiata dalla guerra nella Striscia di Gaza tra Hamas e Israele. Mosca, dopo il brutale assalto contro lo Stato ebraico del 7 ottobre, ha assunto una posizione peculiare, tra la condanna all’attacco ma anche visto come pericolosamente incline non già verso il riconoscimento della causa palestinese, tema da sempre vicino ai vertici russi, quanto della stessa lotta di Hamas. Basti ricordare che due settimane dopo l’attacco compiuto dai suoi miliziani, i vertici dell’organizzazione che controlla Gaza sono volati nella capitale russa per incontri di alto livello riguardanti (almeno sulla carta) la liberazione degli ostaggi. Inoltre dal Cremlino è arrivata sì la netta presa di posizione contro l’orrore subito dai civili israeliani, ma non sono mai giunte dichiarazioni a sostegno della guerra per eliminare Hamas e a supporto di Benjamin Netanyahu. Anzi, Putin ha sfruttato la crisi israelo-palestinese per accusare gli Stati Uniti di avere fallito nella loro agenda regionale.

Sullo sfondo non manca infine il nodo Iran: alleato russo su più livelli, nemico di Israele e degli Stati Uniti, ma anche grande avversario dell’Arabia Saudita. Un complesso rapporto di amicizia che a Putin serve anche per mantenere gli equilibri di forza con partner e rivali regionali e globali. Le discussioni su una possibile soluzione al conflitto e sul dopoguerra non mancheranno, ed è probabile che saranno al centro anche dell’incontro di Raisi con Putin. Ma il tour diplomatico servirà anche a parlare di un altro tema che da quasi due anni agita l’intera comunità internazionale: la guerra in Ucraina. Yuri Ushakov, consigliere per la politica estera di Putin, ha riferito che il conflitto sarà quasi sicuramente parte dei colloqui in Arabia Saudita ed Emirati, Paesi esterni all’Europa, certo, ma non per questo estranei a quanto vi accade. Non va dimenticato del resto che proprio a Gedda si è discusso lo scorso agosto della formula di pace di Volodymyr Zelensky, così come è importante sottolineare che qualche osservatore abbia individuato proprio in quell’area del mondo i potenziali mediatori per una pace tra Kiev e Mosca.

Difficile dire se qualcosa in Ucraina possa cambiare dopo il viaggio di Putin nei Paesi arabi. Tuttavia è possibile notare una coincidenza temporale tra il dinamismo diplomatico del presidente russo e l’aumento di notizie, rivelazioni e dichiarazioni che suggeriscono le perplessità degli Stati Uniti sul fronte ucraino e il pressing per il negoziato dopo lo stallo della controffensiva. Per Washington è fondamentale trovare una via d’uscita ai due conflitti che incendiano i confini del suo “impero” così come per Mosca finire la guerra e normalizzare la sua agenda estera. Ieri il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha di nuovo aperto alla possibilità di una soluzione negoziale per l’Ucraina. E il ritorno di Putin sul palcoscenico della diplomazia può essere un segnale da non sottovalutare.