Volevo parlare dritto su Oliviero Toscani, sul piatto forte che ci ha offerto in questi giorni e invece sono precipitato sul contorno della bistecca. Che è la scena delle esternazioni politiche dei politici di professione o per caso divenuti politici. E di contro, a fare da contrasto, i cori di varia grandezza che si raggrumano e disaggregano e di nuovo aggrumano in una opinione pubblica fantasmatica, multimediale e multiversa e pulviscolare. Adusa tuttavia sempre più ad accusare invece che ad accusarsi degli stessi peccati del nemico d’occasione. Sulla base di quale coscienza – non più di classe, non più falsa o giusta, non più in nome di antiche verità o leggi – parlano gli opinionisti dal basso o ai fianchi degli opinionisti per professione e mandato?

Parto dalla mia condizione di universitario in pensione, fuori ruolo. Da tempo – tanto più ora che le politiche sulla ricerca e formazione mostrano di stare raggiungendo il peggio delle proprie tradizioni educative, definitivamente abbattute dalla globalizzazione tecno-scientifica del merito invece che dei contenuti – m’affatico a ragionare sulla necessità di separare la nostra singola persona, nuda e cruda, dalle funzioni e azioni che essa è obbligata a compiere per potere abitare la società, anche la più civile e amica. Sembra che cerchi di scoprire l’acqua calda: ditelo a un vecchio cattolico o a un vecchio comunista e mi troveranno banale (su questa questione i loro passati catechismi li hanno, seppure diversamente, edotti e corazzati). Anzi mi vedranno con sospetto. Dittatori e sovranisti, invece, vedono il problema in modo diversamente cruciale e imperativo: non la società ma solo la persona autenticamente capace di comando, attrezzata (chi sa come) a farsi soggetto, vocata ad agire e a non essere agita, può godere del diritto di sovranità. Tutto sommato lo pensano anche i populisti di popolo ignari di avere bisogno di un sovrano per esistere. Dunque è estremamente difficile trovare una logica semplice e convincente nel compiere lo sforzo di dividere la persona in carne e ossa dal suo soggetto ovvero dal ruolo che lo assoggetta. Difficile perché al lettore che mi legge fa da coltre una sorta di pronta e automatica rimozione del problema.

Dedicandomi dunque, quasi quotidianamente, a questo arduo problema su Facebook – assai utile per sondaggiare la bolla umana in cui ciascuna persona vive – di recente ho postato sul mio diario il seguente quesito: i poteri dominanti sono gli azionisti del sistema sociale di appartenenza che è l’azionista dell’agire di chi lo abita? La domanda – il suo giro vizioso – è per me fondamentale, fondativa, in quanto tocca appunto il nervo scoperto tra persona e ruolo in chi giudica le nefandezze dell’economia di mercato e la condizione di esproprio e falsificazione consumista del nostro abitare, ma lo fa mettendosene al di fuori. Come in quei grandi affreschi pagani o religiosi in cui l’eroe o il santo di turno guardavano non visti la scena umana. Accusando ma anche lavandosene le mani. Credendo dunque di potersi mettere, anzi essere al di fuori delle forme di sudditanza tributate al sociale, alle sue istituzioni pubbliche e private, al potere della moneta (per dire in una parola il precipitare del capitalismo storico in altro di sempre più astratto e inafferrabile). Son molti sui social a fare da anime belle di tal genere.

Il momento ispiratore di una domanda volta a cogliere la natura sostanzialmente irresponsabile di chi non si sente coinvolto in ciò che denuncia, mi è venuta in mente ancora una volta di più venendo a sapere della recente triste caduta mediatica di Oliviero Toscani. Caduta in un clima che non è più propizio ai suoi deliri di potenza. Quella potenza che a suo tempo lo ha fatto essere un grande creativo, un lucido evocatore delle più acute contraddizioni del sentire (e vedere) comune. Ora gli accade sempre più di perdere colpi e fregarsi con le sue stesse proprie mani (le stesse dei suoi grandi scatti d’obiettivo o virili strette sulla criniera dei suoi cavalli). E proprio questo gli è accaduto nel tempo sempre più offuscato di un presente che gli è pari per insanabili contrasti e continui soprusi tra foto-immagini, senza più verità accertabili. E proprio questo è accaduto solo pochi giorni fa quando è stato pubblicamente denunciato per una frase sconveniente, umanamente scorrettissima, o come tale interpretabile e interpretata, “a chi frega se cade un ponte” (quello di Genova).