L’annuncio della pace raggiunta dai 5 Stelle, sottolineata nel discorso che Conte ha trasmesso sabato sui Social (molto buono dal punto di vista tecnico e comunicativo, con una efficace location e un tono che ricorda quelli con cui, a suo tempo, ha conquistato la sua grande popolarità tra gli italiani), nasconde in realtà il fatto che lo scontro interno al Movimento è tuttora persistente: forse se ne avranno i segnali già nei prossimi giorni. Conte ha vinto il primo round – il nuovo statuto gli assegna molti (ma non tutti) poteri, esclude i toni del “Vaffa” poco congeniali all’ex Presidente del Consiglio, e, con l’istituzione della “Scuola di formazione” sembra abbandonare il principio dell’”uno vale uno”, mai approvato da Conte – ma il patto “della spigola” stipulato al ristorante tra Grillo e l’ex Presidente del Consiglio è per molti versi solo di facciata. La pace, ottenuta anche in conseguenza di forti pressioni, interne ed esterne al Movimento, serve a conservare in qualche modo l’unità apparente dei 5S, per permettere a Conte di avvalersi di una qualche legittimazione per interagire con Draghi in vista del vero redde rationem, la discussione parlamentare sulla riforma Cartabia e in particolare sulla prescrizione.

In quella sede, se Conte manterrà la linea “dura” annunciata nel suo discorso e ribadita dopo il suo colloquio col Presidente del Consiglio Draghi, non sarà facile mantenere il compromesso raggiunto, che pure sarebbe necessario se il M5s vuole continuare ad esercitare un qualche ruolo politico e di governo. In realtà, dunque, il travaglio interno al M5S, esploso ancora una volta in relazione alla riforma della giustizia, prosegue inesorabilmente e si inquadra nella battaglia che ha visto scontrarsi tra loro le diverse componenti parlamentari e il fondatore – “L’elevato” – con il nuovo capo potenziale. Non va dimenticato che il tentativo dell’OPA tutto sommato ostile di Conte nei confronti di Grillo era stata bloccato rudemente da quest’ultimo che era arrivato a qualificare l’ex premier di niente di meno come incapace a svolgere il ruolo di capo: «Non ha visione politica né capacità manageriale».

Conte sta provando a ottenere la maggioranza dei grillini con una presa di posizione marcatamente ostile alla riforma Cartabia. Passando dalle sue esternazioni spesso “centriste” e a supporto dell’ala “governativa” dei grillini a una collocazione più decisamente “movimentista” e “giustizialista” (secondo la tradizione del M5S), cercando di riprendere così i consensi dell’elettorato perduto dal Movimento e stimando che la gran parte di quest’ultimo sia, appunto, “movimentista”, “giustizialista” e legata alle “conquiste” già ottenute dal Movimento quando Conte era a capo del Governo. Ma, al tempo stesso, la posizione di supporto a Draghi dei ministri pentastellati (e di componenti parlamentari dei 5s) riguardo alla riforma e a tanti altri temi suggerisce la persistenza di più di un conflitto interno al Movimento: lo indicano anche lo “sgambetto” al ministro Cingolani e la mancata risoluzione sin qui – e il silenzio totale dei vertici – della questione dei due mandati.

Tutto ciò può mettere in difficoltà Conte, in misura maggiore forse rispetto alle sue aspettative iniziali. Di Maio, che a questo punto, ormai più di Conte, riveste il ruolo di politico moderato ed istituzionale, sembra cercare di tenere insieme i cocci e con essi l’appoggio al governo Draghi, fortemente voluto sin qui da Grillo. Conte, invece, traballa fra una collocazione moderata e “democristiana” e il più recente estremismo giustizialista alla Bonafede. Intanto il conflitto, nonostante gli annunci e le esternazioni, si trascina comunque. La diarchia, dunque, rebus sic stantibus, può funzionare solo con grande difficoltà e con ulteriori cedimenti da parte di Grillo. Quest’ultimo è stato un deciso sostenitore del governo Draghi. Ha addirittura affermato che Draghi è un grillino!

Conte invece sembra coltivare verso quest’ultimo una sorta di risentimento e, in una specie di delirio di onnipotenza, memore delle tesi del PD di Zingaretti, si considera un competitor di Draghi. I due separati in casa potrebbero finire per confliggere ancora in futuro. Anche per questo, secondo molti osservatori, Conte prosegue nella sua strategia, quella di fondare sulle ceneri di quel che rimane elettoralmente dei 5stelle un proprio partito/movimento, avvalendosi della sua personale popolarità, che è tuttora molto alta, seppure diminuita in quest’ultimo periodo. Secondo le rilevazioni di Demos, il gradimento dell’ex presidente del Consiglio è oggi pari al 59% (Draghi è al 77%), a fronte del 68% di maggio e superiore comunque a quello di Meloni e Salvini e, specialmente e di gran lunga, a quello di Grillo, che è al 11%. E altri studi elaborati da Eumetra mostrano come le stesse differenze di popolarità tra i due leader dei 5stelle si trovano anche limitando l’analisi all’interno dell’elettorato attuale del Movimento. È proprio questa distanza siderale nei livelli di consenso che ha probabilmente indotto Grillo a cedere sui poteri assegnatigli dallo statuto e su altri elementi.

Sia Conte sia Grillo contano comunque sullo spazio politico che in ogni caso rimane in Italia per un movimento del genere dei 5S, incentrato sul giustizialismo (e quindi visto forse con favore da qualche corrente della Magistratura) e sul populismo. Che magari si ridurrà al 10%, ma che potrebbe comunque contare in modo significativo nello scenario politico del nostro Paese. Se poi, come continua a suggerire Grillo (non sempre ascoltato però dall’ex Presidente del Consiglio), si intestasse davvero la battaglia degli ambientalisti, potrebbe forse raccogliere anche i consensi di una parte di questi ultimi, la cui presenza nel paese – come mostrano le rilevazioni di Eumetra – è in continua ascesa, anche durante la pandemia: il 28% degli italiani sostiene che la sostenibilità è oggi il tema prioritario, prevalente su tutte le altre questioni economiche, politiche e sociali.

In un quadro politico che nelle ultime settimane è diventato più confuso, se Mao fosse vivo si compiacerebbe del disordine sotto il cielo della politica italiana. Al di là delle tensioni degli ultimi giorni e guardando al medio periodo non è ancora possibile capire se il governo Draghi è una parentesi nella vita istituzionale del nostro paese o se esso segna una svolta. Nel primo caso, l’Italia si ritroverebbe dentro un rinnovato sistema bipolare, con una destra più o meno europeista e più o meno liberale, da un lato, e, dall’altro, con una sinistra confusa senza leadership forte, basata su una alleanza traballante fra PD e quello che resterà dell’ex M5S.

Non è però del tutto escluso che il governo di unione nazionale segni una svolta, che vede da una parte i partiti firmatari del documento dell’Europa delle nazioni (Lega e FdI) e dall’altro le forze decisamente liberali ed europeiste. Si tratterebbe di un diverso bipolarismo che, al di là delle differenze istituzionali, renderebbe simili dal punto di vista degli schieramenti politici l’Italia di domani e la Francia di oggi. Come si diceva, è presto per capire quali sono i frutti dell’esperienza che si è aperta solo qualche mese fa, ma l’Italia ci ha abituato a movimenti inediti e bruschi dell’offerta politica e del comportamento elettorale.

Renato Mannheimer, Pasquale Pasquino

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