La crisi dei 5 stelle e la reazione dei dem
Intervista a Debora Serracchiani: “La scomparsa del M5S sarebbe un danno per la politica italiana”

La parola a Debora Serracchiani, capogruppo del Partito democratico alla Camera dei deputati. In tempi in cui in molti preferiscono glissare i tempi più scottanti o buttarla in caciara, Serracchiani, già vice presidente del Friuli Venezia-Giulia e vice presidente del Pd, fa eccezione.
Morti sul lavoro, operai sotto la mannaia dei licenziamenti. La sinistra ha dimenticato la “questione sociale”?
L’accordo tra il Governo e le Organizzazioni del lavoro e dell’impresa è un punto di metodo importante. Proprio di recente sono avvenuti alcuni episodi che hanno attirato l’attenzione dei media per un paio di giorni, hanno suscitato sdegno nella politica. Poi, come troppo spesso accade, il rischio è che siano rapidamente archiviati. Eppure gli scontri a Roma tra sindacati del trasporto merci con due carabinieri feriti, le nove persone ferite durante violenti tafferugli a un presidio di lavoratori della logistica nel Lodigiano, il sindacalista morto investito da un camion in Piemonte durante lo sciopero nazionale della logistica gettano una sciabolata di luce su un Paese, in cui le tensioni e le contraddizioni sono state tenute sono controllo nell’emergenza, ma che ora rischiano di esplodere. Per questo, il Partito Democratico è intervenuto ed interviene, sia nel lavoro parlamentare che in sede di governo. La ripartenza non sarà indolore, anzi: c’è già chi ha pagato un alto prezzo – lavoratori, persone, famiglie, piccole imprese – al crollo dei consumi, delle produzioni e delle forniture di servizi. La logistica è solo la punta di un iceberg sommerso fatto di nuova povertà, di lavoro più precario e meno pagato, di donne tornate a casa. Ci sono state aziende che hanno fatto ricorso alla cassa Covid pur non avendone bisogno, preparando durante il lockdown le ristrutturazioni interne che faranno appena ne avranno la possibilità.
E il Governo?
Il Governo, allora, deve entrare nelle crisi e nelle dinamiche industriali, quando ad esempio in un settore strategico come l’acciaio, l’ex Ilva manda in cassa cinquemila addetti, sapendo che nel Pnrr ci sono oltre due miliardi di investimenti sull’acciaio verde, quindi che il Governo intende investire e che presto si formalizzerà l’ingresso di Invitalia nella società. Il colpo che ha ricevuto il Paese nel suo complesso è stato più forte addirittura di quello percepito, perché in molti settori ha messo in discussione quel poco o tanto di certezze, di punti di riferimento e di speranze di crescita. Certo, per fortuna ci sono, grazie a persone come Gentiloni, Sassoli, Gualtieri le risorse del Next Generation EU. Il Presidente Draghi, con il nostro Ministro Orlando hanno ben presente la delicatezza di questo momento di transizione. L’importanza di un Governo che propone, sostiene e attua soluzioni e non è succube di slogan e semplificazioni ha avuto la sua plastica evidenza proprio nella delicatissima partita dello sblocco dei licenziamenti: un esito per nulla scontato con una maggioranza così eterogenea.
Del Governo si è detto. E del suo partito?
Ritengo che tutto il Pd deve avere la precisa consapevolezza che la partita vera si gioca in questi mesi, nello scontro con una realtà dura, in cui si manifestano dopo molti anni le vere differenze tra conservatori e riformatori, se non vogliamo dire schiettamente tra destra e sinistra. La questione sociale è il discrimine. Non riguarda i “poveri” o gli “ultimi”, ma la grande maggioranza degli italiani che guarda con paura ad una forbice sempre più ampia, vedendo i loro patrimoni erodersi e i loro figli destinati ad avere meno opportunità, meno soldi, meno pensioni di loro. Il Pd deve offrire soluzioni che non sono palliativi, mance o elargizioni, ma veri elementi di redistribuzione delle ricchezze e delle opportunità, per una ‘alternativa ad una destra mercatista, illiberale, allenata a fomentare paure e alimentare tensioni, che va molto di moda anche in una parte della nostra Europa. Ha ragione Letta quando dice che dobbiamo costruire un partito di popolo e non un partito digitale perché la differenza qualitativa sarà sempre incolmabile, e il rischio via via più incombente è che la distanza tra cittadini e politica aumenti in modo esponenziale e pericoloso, delegittimando il ruolo di rappresentanza attribuito alle forze politiche e al Parlamento. Dunque non è un esoterico esercizio sui regolamenti parlamentari la proposta con cui il Pd vuole restituire centralità al Parlamento…
Occuparsi di regolamenti non è “parlar d’altro”?
Tutt’altro. Il tema dei “cambi di casacca” e del trasformismo è giustamente molto sentito tra i cittadini, l’effetto è un disinteresse crescente, una sfiducia generalizzata e una partecipazione ridotta ai minimi termini: le elezioni regionali francesi sono un ulteriore campanello d’allarme perché si tratta di meccanismi sociali trasversali alle fasce sociali e agli stessi stati europei. Per quanto ci riguarda, proviamo alcuni rimedi che non saranno certo risolutivi di tutto il tema così delicato della rappresentanza, ma evitano derive ormai insopportabili. La cura non può essere cambiare l’articolo 67 della Costituzione e introdurre il vincolo di mandato, chiesto da forze politiche che ora si troverebbero in grave difficoltà, se avesse prevalso quell’impostazione (ma il ragionamento vale per tutti). Non esiste il parlamentarismo moderno senza divieto di vincolo di mandato. I tentativi di superare d’un balzo il metodo della rappresentanza hanno mostrato il limite implicito della cosiddetta democrazia diretta, che può svariare dal vociare confuso al leaderismo spinto all’autocrazia fino alle derive di quell’autentico paradosso della “democrazia illiberale”. E questo discrimine costituzionale è precisamente un aspetto identitario del Pd, così come lo sforzo di rispettare l’articolo 49 della Costituzione, dov’è uno dei richiami più disattesi, quello ai principi democratici che dovrebbero regolare ed orientare la vita interna dei partiti. Chi ha ‘democraticamente’ deciso lo scioglimento di un partito come Forza Italia dal predellino di un’auto nel 2007 con Fini, oggi si dichiara pronto a rifare lo stesso passo con Salvini, a invertiti rapporti di forza. Non sono dettagli, ma modi radicalmente opposti di intendere il ruolo della politica nella vita di un Paese. Da una parte, il dialogo plurale e la tensione alla sintesi delle diversità, dall’altra parte la parola d’ordine e l’esclusione di ogni dissidenza. Consapevole di quanto sia faticosa la pratica della democrazia interna, a fronte di quanto monta nella destra italiana ed europea, rivendico perfino le tanto criticate “anime” del Pd, prova che da noi si custodisce il patrimonio autentico dei partiti popolari fondatori della Repubblica antifascista.
Il tema delle alleanze. Il Pd ha puntato ad un asse con i 5Stelle. Ma di fronte alla “guerra” tra Grillo e Conte ha ancora un senso investire su questa prospettiva?
Sono giorni complessi quelli che sta attraversando il M5S: a noi è richiesto rispetto, rinnovata capacità di interlocuzione, nessuna tifoseria. È indubbio che l’esperimento fatto dal M5S è stato a suo modo istruttivo: ha insegnato che si può raccogliere e incanalare il malcontento, la rabbia e anche molte speranze positive, ma che non si può restare nella sfera del virtuale o dell’onirico, ponendosi obiettivi palingenetici che si frantumano alla prova dell’amministrazione quotidiana o si consumano nelle trattative che fanno parte della dialettica democratica. Il M5S è oggi una forza politica diametralmente opposta al movimento del 2013 e anche del 2018. Non nascondo la speranza che, nonostante tutto, la dialettica interna al M5S trovi una composizione non traumatica, e comunque nell’alveo di quella collocazione europeista e atlantica che è stata raggiunta attraverso un percorso in cui il Pd ha svolto un ruolo. Da qualunque parte si analizzi quanto sta accadendo, resta vero che adesso di tutto ha bisogno la politica italiana meno che di un ulteriore sfarinamento. Quello che stiamo vivendo è un momento probabilmente senza paragoni nella vita della Repubblica. Questa volta non ci sono concessi il piccolo cabotaggio né le italiche furberie con cui troppo spesso sono state schivate le grandi prove piuttosto che affrontarle. Dobbiamo ancora una volta essere grati al Presidente Mattarella per aver chiamato Draghi a guidare il Governo.Una scelta dall’altissima valenza politica, nel senso più nobile e istituzionale, perché ha posto il Parlamento di fronte a una figura dal profilo tecnico ma non asettico dal punto di vista dei riferimenti ideali: Europa, atlantismo, liberaldemocrazia,ambiente ed equità, tracciano un perimetro assai concreto entro cui la maggioranza può muoversi. Ed è dunque giusto che un partito come Fratelli d’Italia abbia fatto la scelta di rimanerne fuori, una scelta tattica senza dubbio, ma perfettamente coerente con la linea tenuta da Giorgia Meloni in Italia e fuori. Diverso il calcolo che ha portato Salvini a entrare in maggioranza: legittimo chiedersi se rimanere fuori dal Governo sarebbe costato alla Lega uno stillicidio di consenso maggiore di quello che paga stando dentro una compagine così scomoda. Non che per il Pd sia facile la convivenza con una Lega bifronte, governativa quando siede in Consiglio dei Ministri e d’opposizione in ogni altra occasione possibile. Ma sicuramente il Pd crede ed investe sul Governo Draghi
Perché il Pd teme i referendum promossi dai radicali sulla giustizia?
Non ho mai sottovalutato lo strumento del referendum abrogativo, che anzi in diverse occasioni mi ha visto impegnata, ad esempio quando abbiamo votato per l’acqua pubblica così come credo firmerò per l’eutanasia legale. Se sui temi della giustizia giusta riconosco ai radicali di aver fatto ricorso storicamente al referendum come metodo di lotta e di affermazione politica, la stessa legittimazione non posso dare a Salvini che è insediato dentro la maggioranza ed è al Governo. Qui non serve a nulla dividersi per l’ennesima volta in garantisti e giustizialisti (il riferimento al tintinnio delle manette appartiene a storie molto diverse dalla mia). Riconosco alcuni temi di merito dei quesiti, ma colgo tutta la strumentalità dell’iniziativa della Lega che, per l’ennesima volta, ha visto l’opportunità di salire su un carro che gli permette di differenziarsi ancora una volta dall’azione del Governo di cui fa parte. La riforma della giustizia, finalmente, sta andando in porto. La ministra Cartabia in poco più di quattro mesi ha già portato in dirittura di arrivo alcune riforme importanti: le riforme del processo civile sono ora incardinate al Senato e stanno per approdare in Consiglio dei Ministri gli emendamenti al disegno di legge delega sul processo penale. In questi giorni, una cronaca amara ha riportato all’attenizone in tema del carcere: dobbiamo lavorare per nuove forme di sanzione, perché altrimenti tutto sarà indifferenziato e ingiusto. La riforma della giustizia è tra gli obiettivi che ci pone il Pnrr, perché è un indicatore di democrazia e sviluppo. La Lega vuole esclusivamente aumentare lo stress del Governo, non affrontare e risolvere i gravi nodi della giustizia.
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