In una campagna elettorale per le comunali sarebbe lecito aspettarsi un ruolo da protagonista per la città, con i suoi problemi stratificati nel tempo e le sue legittime aspettative per il futuro. Soprattutto quando questa stessa città è reduce, come nel caso di Napoli, da dieci anni di annunci roboanti e promesse puntualmente disattese, populismo inconcludente e ribellismo fine a se stesso. Il paradosso vuole, invece, che le condizioni della terza città d’Italia spariscano davanti al “manovrismo” che anima i partiti, le coalizioni e i candidati, inclusi quelli che amano definirsi “civici” ignorando che è proprio della politica – quella buona, quella vera – che una città come Napoli ha bisogno per guardare al futuro con rinnovata fiducia.

Pensiamo alla coalizione di centrosinistra. Il cosiddetto campo progressista è pressoché totalmente assorbito da faccende che con Napoli hanno poco o nulla a che fare. Gaetano Manfredi è stato indicato come candidato sindaco dopo mesi di attesa durante i quali i vertici locali dem hanno scrupolosamente eseguito gli ordini dei leader nazionali, impegnati a rincorrere gli alleati del Movimento Cinque Stelle. Adesso a catalizzare l’attenzione sono le tensioni tra Beppe Grillo e Giuseppe Conte, che ieri sono definitivamente deflagrate, e le esternazioni del presidente campano Vincenzo De Luca, tornato a chiedere le dimissioni non solo del commissario Francesco Paolo Figliuolo ma anche del ministro Roberto Speranza che è uno dei  tre firmatari del patto per Napoli chiesto e ottenuto da Manfredi.

Non va meglio sul fronte opposto, dove Catello Maresca ha ingaggiato un duro scontro con i vertici dei partiti di centrodestra che erano pronti a sostenerlo e che adesso, dopo il no ai simboli imposto dal pm, sono costretti a riorganizzarsi. E così Fratelli d’Italia, pronta a capitalizzare il consenso attribuito dai sondaggi, punta su Sergio Rastrelli e lascia trapelare l’ipotesi di una candidatura come capolista addirittura della presidente Giorgia Meloni. Agli ex missini si accoda Forza Italia che puntava su Maresca per conquistare Palazzo San Giacomo e che adesso abbandona il pm parlando di «distanze incolmabili». Fa eccezione la Lega, quasi inesistente a Napoli, che pare disposta a sostenere il magistrato rinunciando al proprio simbolo. E non va dimenticata Alessandra Clemente, sistematicamente condizionata dalle mosse di quel Luigi de Magistris che ormai gioca una partita su un tavolo ben lontano da Napoli.  La sostanziale autonomia di Antonio Bassolino e Sergio D’Angelo, unici due candidati non manovrati dall’alto e autentici “riferimenti” di se stessi, non basta a riportare la città al centro del confronto elettorale.

Nessuno parla di sicurezza e anziani, come il Riformista ha già avuto modo di sottolineare, ma nemmeno di bambini e di giovani. Eppure sarebbe necessario, visto che la classifica stilata dal Sole 24 Ore colloca Napoli agli ultimi posti per qualità della vita tanto dei più piccoli quanto degli under 35. Né si parla di progetti più o meno ambiziosi o di visioni di città alternative a quella targata de Magistris. Insomma, la città sembra quasi un’ospite indesiderata in questa campagna elettorale che, almeno per l’eccezionale durata, potrebbe e dovrebbe costituire un eccezionale momento di confronto aperto, serio, anche aspro, ma costruttivo e di prospettiva. Al momento, di tutto ciò, si vede poco o nulla. Con buona pace dei napoletani.

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.