La querelle tra Beppe Grillo e Giuseppe Conte per la guida politica del Movimento Cinque Stelle non sarà priva di ricadute sui territori. Il candidato Gaetano Manfredi è il prodotto di un patto romano tra la segreteria del Partito democratico, Articolo 1 e un Conte allora in auge, forte di una chiamata da parte di Grillo che si è rivelata un invito a dare una mano per spingere la carretta.

Che dietro la candidatura di Manfredi non ci fossero genericamente i Cinque Stelle ma precisamente Conte, con le sue legittime ambizioni, è evidente dalla “scampagnata” napoletana con cui l’avvocato di Volturara Appula, senza rivestire alcun ruolo, è venuto a mettere il sigillo sul suo ex ministro. Manfredi, del resto, non ha rapporto con i leader dei Cinque Stelle, a partire da Grillo, ma ne ha uno molto forte con Conte. Il firmatario del patto per Napoli è senza dubbio Conte, dunque non Beppe Grillo che non ha mai messo la testa sulle cose napoletane né tantomeno Luigi Di Maio o Roberto Fico, pur molto interessati agli sviluppi.

Nella strana inversione di ruoli tra Conte e Grillo – dove il primo, più moderato, viene dipinto come il frondista del governo Draghi, e il secondo, sempre sopra le righe e guru della fase più estremistica del movimento, come difensore dell’attuale esperienza di governo – accade che a livello locale le cose tornino al proprio posto e i militanti che si richiamano alle radici del movimento diano in escandescenza, disconoscano la candidatura di Manfredi e il quadro delle alleanze, e che si stenti a ritrovare (Valeria Ciarambino a parte) un dirigente del M5S impegnato sui territori che si dichiari entusiasta della candidatura di Manfredi, uomo di establishment.

Queste notevoli fibrillazioni gettano un’ombra sulla campagna di Manfredi. Mentre Antonio Bassolino non ha di questi problemi e si fa la sua gara, l’ex rettore, pur favorito dalla rissa nel centrodestra, appare un candidato via via meno dotato di un’ampia legittimazione politica. Del resto, se nella contesa nel M5S prevalesse Conte, Grillo e i suoi sui territori alzerebbero il tiro. Se vincesse Grillo, Conte sarebbe costretto probabilmente a tentare l’esperienza del partito personale e il M5S si frantumerebbe ulteriormente dopo le numerose defezioni dei mesi scorsi.

Il patto per Napoli è frutto, dunque, di una fase del recente passato ora esposta all’alea dell’attualità. Perciò appare scritto sull’argilla. Manfredi sembra già risentire, nella propria campagna elettorale, delle fibrillazioni prodotte dalla resa dei conti nel M5S. Certo, con la prova di rara insipienza di Maresca e del centrodestra cittadino non è affatto detto che questo fardello incida sui livelli di consenso, a partire dai prossimi sondaggi. Ma la questione è più sostanziale e un giornale riformista non può che squadernarla con una certa crudezza. Manfredi rischia di avere un problema di capitalizzazione politica e di legittimazione.

Potrebbe trovarsi a essere un sindaco privo di adeguate coperture o, peggio, bersaglio di un fuoco amico all’interno o nei pressi del suo schieramento. L’ex ministro è una persona di qualità, ma di fronte a tale scenario non potrebbe ripiegare su una gestione da city manager perchè la sua candidatura nasce su ambiziose premesse e condizioni politiche. A differenza di Bassolino che, da battitore libero, non ha promesso nulla se non lavoro e attenzione per la sofferenza della città.