Giuseppe Conte è in campo, anche se rimane tutto da capire quale sia il campo e quale sia il partito. Alla fine di una conferenza stampa assai singolare, quel che appare più evidente è che la toppa dopo lo strappo sarà difficile. La ricucitura non si vede. Si vedono i tessitori – Di Maio e Patuanelli, D’Incà e Taverna – ma intorno il vuoto. Perché Conte c’è, ma il vecchio M5s non esiste già più e il nuovo tarda a nascere.

L’avvocato del popolo lo mette in chiaro: «Ci sono difficoltà da spiegare in modo franco», dice riavvolgendo il nastro. «All’hotel Forum – dettaglia – la sera del 28 febbraio Grillo e gli altri vertici mi chiesero di diventare subito capo politico del Movimento. Rifiutai per poter avere un ampio mandato, una investitura vera e non priva di legittimazione della base». Aveva capito che Grillo cercava in lui un front runner da tenere sotto scacco. «Da allora mi sono messo a studiare e ho preparato un progetto che rivoluziona il Movimento, rifondandolo». Ecco che Piazza di Pietra diventa la Bolognina dei Cinque Stelle. Il momento della svolta non più rimandabile. L’ex premier ha bisogno di tenere insieme lo Stato maggiore e parte con la mozione degli affetti: omaggia e ringrazia Vito Crimi per il grande lavoro – anzi, inizia il discorso solenne e tanto atteso facendogli in diretta gli auguri per la nascita della figlia – e poi ringrazia Di Maio per aver saputo condurre il M5s alla vittoria del 2018. Vuole tutti dalla sua parte per lanciare la sua “sfida al cielo”: una conta, fatta con un sistema telematico nuovo al posto dell’archiviato Rousseau, per mettere ai voti in una sorta di plebiscito digitale la sua proposta di riorganizzazione complessiva: statuto nuovo, carta dei prinicipi e dei valori, articolazioni territoriali, scuola di formazione interna.

Il ruolo di capo politico che diventa leader a tutto tondo, senza l’infingimento di essere “ombra di qualcuno”. Leader politico però che può essere sfiduciato dal garante – unica concessione rispetto alle richieste di Beppe Grillo – e che non sarebbe destinato a rimanere in caso di sconfitta elettorale. Una rifondazione del Movimento, o meglio la fondazione di un Movimento nuovo. Il confine tra le due cose è sottile. Conte non vuole sentir parlare di nuova Dc, di partito di centro. Ma non si tratta più, nelle sue parole, di rianimare un soggetto senza futuro, moribondo: «Il M5s è sfibrato, non ce la fa più». E Grillo non appare certo il rianimatore necessario. «Abbiamo una diversità con Beppe su alcuni aspetti fondamentali. Ritiene che tutto vada bene, salvo moderati aggiustamenti. Invece serve una rivoluzione». Disegna un partito con una sede centrale che coordina i comitati regionali e locali; forum tematici che portino aria nuova e soprattutto la voce dei sindaci – molto presenti nel discorso di Conte – e l’immancabile frase aggiunta a penna da Casalino: «La comunicazione è prioritaria, il capo politico dovrà avere il pieno controllo sulla comunicazione», sottolinea.

Certo, è proprio nelle pieghe della comunicazione, richiedendo l’accredito per prendere parte alla conferenza stampa, che si viene a contatto con la plasticità di una situazione difficile da ricondurre a dialettica interna. Parlando con l’ufficio stampa parlamentare M5s ci avevano risposto: «Questa cosa la gestiscono loro direttamente, non noi». Loro vs. Noi. E loro chi sono? Quelli dello staff di Conte, con Rocco Casalino e gli altri. Un nucleo scisso dalla struttura del Movimento. Il modulo per entrare è stato preparato da Casalino con un programma di Google – chi fa da sé fa per tre – e non reca alcun simbolo del Movimento. “Giuseppe Conte”, è l’intestatario. Il sorriso di Conte è quello di chi ha capito che al logoramento di Grillo si può rispondere solo creando le condizioni per una graduale uscita. Verso un soggetto nuovo, al quale si tenta di traghettare il corpaccione degli iscritti (ammesso che siano ancora quelli) attraverso il plebiscito digitale che solo Vito Crimi, reggente pro tempore, potrebbe indire. Una legittimazione che farebbe uscire il M5s dalle secche e ne farebbe un’altra cosa, a spese del fondatore e garante. Grillo non ci pensa proprio a fare la fine del cappone.

E rimane da capire se Crimi – non proprio Cuor di leone – si unirà alla sfida frontale contro Grillo. Potrebbe farlo solo se sollecitato da un grande numero di parlamentari. Prima di dare la parola alla base, contano i grandi elettori. Conte lo sa e ha capito di aver bisogno della leva dei ministri e dei parlamentari che nei prossimi giorni tornerà a incontrare. Ma ha già rotto gli argini sulle sfide amministrative, sta già viaggiando da sud a nord per incontrare i candidati sindaco del M5s, come a Napoli qualche giorno fa con Manfredi. «Li sostengo e li sosterrò, intanto da privato cittadino». È uno sforzo di diplomazia. Fuori, le cautele della sala ovattata riecheggiano come tamburi di guerra. Lo scontro tra titani del Movimento è appena stato annunciato e già Forza Italia, con Giro, parla di un “Ultimatum contro Grillo”. Il Pd ha la consegna del silenzio. Italia Viva prevede la fine imminente di un soggetto politico che ha condotto la stagione del declino.

Matteo Renzi lo aveva predetto: «Per me l’esperienza dei 5 Stelle è al capolinea. Non mi stupirei se Conte provasse a fare qualcosa da solo. Credo gli convenga». Sembra averlo messo in conto anche il Professore: «È urgente che il Movimento si possa esprimere», dice reiterando il suo appello. Altrimenti? «Per ora non ho un’agenda parallela, non c’è un piano B», frena Conte. Per ora. Come in una poesia di Prévert, a Roma si sfiorano i quaranta gradi quando sul Movimento cala il gelo.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.