Caro Riformista, il vigoroso, inevitabile “vaffa” di Beppe Grillo a Giuseppe Conte stravolgerà il quadro politico, determinando un ritorno all’asse tra l’attore genovese (la definizione di “comico” la trovo ingenerosamente dispregiativa) e Davide Casaleggio (e, credo, Alessandro Di Battista). L’ex premier mi pare irrimediabilmente fuori dal Movimento Cinque Stelle. Impossibile recuperare un minimo di rapporto dopo che Grillo ha definito Conte impolitico e privo di visione strategica.
Nei prossimi giorni conosceremo l’esatta dimensione di tale stravolgimento che riguarderà tutto il cosiddetto “campo progressista”. Se Conte avrà l’energia di proporre un autonomo progetto politico, esso non potrà che puntare a conquistare parte dell’elettorato sia del M5S che del Partito democratico, entrambi già in affanno nei sondaggi. Ciò dimostrerà, ancora una volta, come sia stata sciaguratamente autolesionista l’incoronazione da parte dei dem dell’ex premier (che ha con orgoglio rivendicato i decreti Sicurezza) come leader indiscusso e «riferimento fortissimo dei progressisti». Strategia che non è stata corretta dal nuovo segretario Enrico Letta.
Si aprirebbe, quindi, se Conte non tornasse a fare il docente universitario a tempo pieno, una sanguinosa competizione. La disfida estiva di queste ore non potrà non avere ricadute nella nostra città, dove appena la settimana scorsa il candidato sindaco Gaetano Manfredi (sostenuto dal presidente campano Vincenzo De Luca, Pd e M5S) è stato accompagnato in un tour in città proprio da Conte, Luigi Di Maio e Roberto Fico. Non a caso i dissidenti grillini, guidati dalla consigliera regionale Marì Muscarà e dai consiglieri comunali di Napoli Matteo Brambilla e Marta Matano, contrari all’“abbraccio mortale” col Pd, hanno chiesto a Grillo di azzerare l’intesa e autorizzare il M5S alla corsa solitaria alle comunali. Vedremo come evolverà la situazione nei prossimi giorni, ma la precipitazione del conflitto interno al M5S dimostra ancora una volta quanto miope sia stata la strategia adottata dai gruppi dirigenti democratici partenopei.

Oggi l’“ampia” coalizione che sostiene Manfredi si trova infatti a gestire ben due querelle difficilmente ricomponibili: quella appena descritta e quella tra De Luca, il ministro Roberto Speranza (e la sua area politica), con il paradosso che il primo ha chiesto con i toni ruvidi cui ci ha abituati le dimissioni del secondo. Vi immaginate un’iniziativa pubblica dell’intera coalizione e l’effetto deleterio che avrebbe sulla credibilità dell’intero patto per Napoli che Marco Sarracino, segretario metropolitano del Pd, continua a celebrare con enfasi e autocompiacimento? Tutto ciò dopo aver liquidato con malcelata indifferenza la candidatura di Antonio Bassolino repetita iuvant – coetaneo del premier Mario Draghi e di De Luca, ritenuto pressoché  unanimamente il miglior sindaco della città negli ultimi 25 anni, che ha ritrovato pienamente, dopo anni di ingiusta gogna giudiziaria e mediatica, un ruolo da protagonista e che, ad oggi, è sicuramente l’aspirante sindaco che con più efficacia sembra in grado di parlare a una città sofferente e stremata da dieci anni di “disamministrazione” e dalla pandemia, con idee, progetti e intuizioni che guardano al futuro.

I dirigenti del centrosinistra, invece di interrogarsi su ciò che sarebbe stato più utile per Napoli e per il suo futuro, hanno preferito gli accordi romani, replicando nella nostra città (unico caso nelle metropoli al voto in autunno) un’alleanza già in evidente e progressivo stato di decomposizione, a dispetto di quanto dichiarato da Manfredi a questo giornale: un’autentica volontà di scomparire, a dispetto delle dodici liste che si annunciano in coalizione.
Difficoltà non trascurabili fanno registrare anche gli altri aspiranti sindaci.

Il sostituto procuratore generale Catello Maresca (persona che apprezzo per la sua biografia limpida e indomita di magistrato antimafia) è impegnato a sciogliere il dubbio amletico se rafforzare il carattere civico della sua candidatura (scelta che, a mio sommesso parere, gli offrirebbe più chances di vittoria in caso di ballottaggio, anche se nell’immediato potrebbe fargli pagare un prezzo in termini di ricerca di un più vasto consenso) o aprirsi a un’esplicita intesa con i partiti del centrodestra. Ritengo che non avranno vita lunga le candidature dell’assessore Alessandra Clemente e dell’ex amministratore unico di Abc Sergio D’Angelo.

Insomma, a dispetto dei sondaggi fatti circolare in maniera spesso interessata e strumentale nelle ultime settimane, la sfida delle prossime amministrative si presenta più che mai aperta. C’è da augurarsi che ritorni presto protagonista la città con le sue drammatiche, ataviche problematiche e contraddizioni irrisolte. Il tempo a disposizione non è infinito e prove d’appello per Napoli, a parer mio, difficilmente si proporranno.