Il Vaffa di Beppe Grillo a Giuseppe Conte è la bomba che deflagra nel Movimento e di fatto lo sconquassa. Con un post sul suo blog dal titolo sbrigativo, “Una bozza e via”, ecco che il garante usa le parole come proiettili, senza mezzi termini, per compiere un “Conticidio” senza appello. Una clamorosa cacciata a pedate. «Conte può creare l’illusione collettiva (e momentanea) di aver risolto il problema elettorale, ma non è il consenso elettorale il nostro vero problema. Il consenso è solo l’effetto delle vere cause. E invece vanno affrontate le cause per risolvere l’effetto ossia i problemi politici (idee, progetti, visione) e i problemi organizzativi. E Conte, mi dispiace, non potrà risolverli perché non ha né visione politica, né capacità manageriali. Non ha esperienza di organizzazioni, né capacità di innovazione. Io questo l’ho capito, e spero che possiate capirlo anche voi».

Il licenziamento in tronco del professore è bruciante, e Grillo lo motiva: «Non possiamo lasciare che un movimento nato per diffondere la democrazia diretta e partecipata si trasformi in un partito unipersonale governato da uno statuto seicentesco». Poi si contraddice, nel suo stile: «La deresponsabilizzazione delle persone con la delega ad un singolo nelle organizzazioni orizzontali è il principale motivo del loro fallimento», tacendo l’evidenza di arrogare oggi più che mai su se stesso tutti i poteri, mantenendo il controllo padronale ed univoco di un partito-azienda che vuole continuare a gestire motu proprio, rinverdendo con l’occasione il patto con Davide Casaleggio, richiamato in servizio.

Riassumendosi come «una comunità che impara dagli errori e si mette in gioco senza rincorrere falsi miti, illusioni o principi azzurri che possano salvarla» e indicendo su due piedi la consultazione in rete degli iscritti per l’elezione del Comitato Direttivo, che si terrà sulla resuscitata Piattaforma Rousseau. Redivivo Casaleggio, tramortito Casalino. Lo spin doctor di Conte è sui carboni ardenti: è a capo della comunicazione strategica del Movimento ma pur sempre il braccio destro di Conte, suo fedele consigliere ed ispiratore. La prima poltrona che può saltare sembra la sua, nella notte dei lunghi coltelli che si è aperta nel Movimento. L’esperimento politico-sociale più singolare dell’Occidente vive l’incubo della dissoluzione. Oggi si terrà l’assemblea dei deputati, quanto mai smarriti. Davanti a Montecitorio, in Transatlantico, nelle chat interne formicolano all’impazzata i peones in cerca di informazioni. «E ora?». È la domanda che rimbalza nelle chat grilline, dove torna il “game over”. Chat in ebollizione, mentre si raccolgono capannelli di parlamentari attoniti, arrabbiati, preoccupati. A far sperare in una soluzione pacifica, il silenzio del garante.

Beppe Grillo infatti ci ha dormito su, tenendo in stand by il video con cui dopo aver ascoltato il discorso di Conte minacciava di vomitare la sua rabbia. Non ha preso bene quell’invito a fare il “padre generoso” e non il “padre padrone”. Toni e parole che hanno mandato il fondatore del Movimento su tutte le furie. Ma la decisione è maturata nella notte. La quiete iniziale aveva fatto pensare ai più, big compresi, che le trattative per uscire dallo stallo fossero riprese. «Il peggio sembra passato», si era lasciato sfuggire un ministro ieri mattina. E invece quelle ore erano trascorse al telefono tra il garante e Casaleggio, impegnati in una operazione che gli informatici definirebbero “ripristino di sistema”. E così sfumano i quattro mesi spesi da Conte per risolvere quella che i parlamentari bollavano come la “grana Rousseau”. Oggi torna Casaleggio, esce di scena Conte.

Almeno per Grillo, perché nel Movimento sono in pochi a credere che l’ex premier si metterà da parte. La sua messa alla porta potrebbe generare un esodo nei gruppi parlamentari: e questo anche a Marina di Bibbona, in queste ore, lo stanno tenendo in debita considerazione. Oggi l’assemblea dei deputati sarà capeggiata da Vito Crimi, che pure traballa. È nella lista dei contiani, suo era il nome ripetuto due volte da Conte nella conferenza stampa come figura-ponte verso l’approvazione del nuovo statuto. Ma sono iscritti alla corrente dell’ex premier anche Paola Taverna, Lucia Azzolina, Ettore Licheri, il ministro Stefano Patuanelli e il “contemplativo” Riccardo Fraccaro. Vicinissimo Alfonso Bonafede, più distanziati ma dialoganti Luigi Di Maio e Roberto Fico, probabilmente i primi a dover essere ricondotti all’ovile.

Verso la rottura Roberta Lombardi, membro del comitato di garanzia M5S: «Non condivido una virgola di Grillo». Entusiasta invece per il ritorno alle origini, riecco Nicola Morra: «Sono pronto a mettermi a disposizione di un M5S visionario e leaderless». E naturalmente è pronto ai box Alessandro Di Battista, gradito a Grillo così come a Davide Casaleggio. Getta benzina sul fuoco la senatrice Susy Matrisciano, che si rivolge a Beppe a nome della nutrita pattuglia ostile al governo Draghi: «Caro Beppe, prima di questa votazione direi forse che occorre votare la permanenza al governo oppure no, che ne dici? Visto che hanno bloccato il cashback… credo anche Davide sia d’accordo…» scrive su Facebook. La tenuta del governo Draghi, ma anche le candidature alle amministrative, risentiranno delle scosse telluriche di questo terremoto. Sono soprattutto i partiti di centro a presagirne i contraccolpi.

«Il M5S è al suo ultimo atto. Il post di Grillo è una sorta di certificato di morte. Bisogna augurarsi che i frammenti della deflagrazione grillina non cadano sulla testa del governo», dice Osvaldo Napoli, deputato di Coraggio Italia. Anche il sottosegretario agli Esteri, Della Vedova, Più Europa, condivide la preoccupazione: «Grillo non lascia a Conte il M5S della rivoluzione giacobina e populista ma raddoppia: ovvio. Il Pd aveva scommesso tutto su Conte e ha perso: previsto. Ora evitiamo che la guerra tra grillini faccia danni a Draghi». I liberali del PLE: «No a giochi di potere sulla pelle degli italiani, no a ripercussioni sulla tenuta del governo e sulla stabilità che oggi serve». Mastella prevede “fibrillazioni forti”. Anche per le sfide nelle città. Letta è a Bologna e si affretta a sottolineare il giusto «rispetto per la dialettica interna di un altro partito», ma è sconfessata tutta la strategia che da Bettini a Franceschini, da Zingaretti a Letta ha puntato tutto sull’ex premier.

I rapporti tra Enrico Letta e l’ex premier sono ottimi e l’interlocuzione è costante: è stata questa a permettere negli ultimi tempi di trovare un nome comune per Napoli e per la Calabria e di costruire sin dal primo turno l’appoggio M5s a Matteo Lepore a Bologna. Nel rispetto delle dinamiche altrui, Letta, ora preoccupato per il travaglio dei 5 stelle e per i rischi di frammentazione che favorirebbero le destre, ha chiesto ai suoi di non entrare nello scontro tra Conte e Grillo ma è chiaro che un addio dell’ex presidente del consiglio e un’esplosione del movimento potrebbe avere conseguenze sull’alleanza, si teme nel Pd. Anche se con meno centralità rispetto alla segreteria di Nicola Zingaretti, quando l’ex “avvocato del popolo” veniva considerato «un punto fortissimo di riferimento di tutte le forze progressiste». Matteo Renzi – che aveva previsto passo passo l’evoluzione cui assistiamo – si limita a twittare, sarcastico: «Tutto davvero molto bene e tutto secondo le previsioni».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.