L’intervista pubblicata ieri sul Fatto Quotidiano a Piercamillo Davigo, firmata da Marco Travaglio (nel titolo abbiamo mischiato i due nomi per rendere più chiara l’unità di pensiero e di intenti tra i due protagonisti e leader indiscussi del giustizialismo italiano) contiene molte, molte inesattezze. Non certo per spirito polemico, ma solo per ristabilire un po’ la verità dei fatti, le elenchiamo.
1) La prima domanda di Travaglio riguarda, ovviamente, la prescrizione che “come la nostra c’è solo in Grecia”. Non è proprio così. In Francia, ad esempio, le norme sulla prescrizione sono simili alle nostre. Il termine di prescrizione decorre dalla data di commissione del fatto. Maturato il termine massimo previsto dalla legge, si estingue l’azione pubblica. Per alcuni reati, come nel caso di quelli commessi a mezzo stampa, la prescrizione è rapidissima: solo 3 mesi. In Germania, invece, la prescrizione è regolata dal codice penale. Esiste una distinzione tra “prescrizione della perseguibilità”, corrispondente alla prescrizione del reato italiana, e “prescrizione della esecuzione”, equivalente alla prescrizione della pena. L’ordinamento del Regno Unito non prevede l’estinzione del reato per prescrizione. Sono, però, previsti dei limiti temporali entro i quali possono essere perseguiti i reati; essi rispondono all’esigenza processuale di assicurare, entro un termine ragionevole, l’acquisizione di prove genuine e di garantire all’accusato un “giusto processo” che si svolga in un lasso di tempo circoscritto rispetto ai fatti che l’hanno determinato. Chi è assolto viene poi risarcito di tutte le spese legali sostenute.

2) In Italia “i processi durano troppo perché se ne fanno troppi. Il sistema accusatorio regge solo se il grosso dei casi non va a dibattimento”. Non è corretto. I processi sono tanti perché esiste l’obbligatorietà dell’azione penale e perché sono troppi i fatti sanzionati dalla legge penalmente (in aumento esponenziale da quando i grillini sono al governo). A ciò si deve poi aggiungere che tutto va a dibattimento perché il filtro del gip non funziona, essendo diventato il “copia ed incolla” delle decisioni del pm. Sono rarissime, infatti, le sentenze di non luogo a procedere pronunciate in udienza preliminare. Questa è una delle ragioni per le quali si chiede da tempo la separazione della carriere: Pm e Gip colleghi e vicini di stanza difficilmente sono autonomi. Così la funzione di vaglio e di selezione e di controllo del Gip scompare. Purtroppo l’Anm, in particolare quella che fu guidata da Davigo, è sempre statacontrarissima alla separazione delle carreire, che considera lesa maestà.

3) “I giudici italiani sono i più produttivi in Europa”. Affermazione fatta citando il rapporto della Commissione Europea per l’efficienza della giustizia (Cepej). Impreciso. In nessuna pagina del rapporto compare la voce “produttività”. E questo perché sono eterogenei i dati e gli ordinamenti dei 47 Stati oggetto dell’analisi. L’unico dato presente riguarda quello dei casi che sono stati definiti, senza però fare distinzione fra i tipi di provvedimenti attuati: sentenza, decreto penale, ecc.. Bisogna poi considerare che per la statistica del giudice, un processo per spaccio di una dose di stupefacente equivale al processo per il crac Parmalat.

4) “In America per impugnare una sentenza il condannato deve avere il permesso del giudice che l’ha emessa”. Il confronto con gli Stati Uniti non è ipotizzabile. Negli Usa i giudici, come i pm, sono eletti, non esiste il concorso in magistratura, non esiste l’obbligo di motivazione della sentenza. La decisione, chiamata verdetto, è di competenza della giuria popolare. Negli Stati Uniti l’imputato può contestare uno per uno i giurati, sostenere che hanno pregiudizi, ottenerne la sostituzione. Per dire: negli Stati Uniti delle magistrate di sinistra mai e poi mai avrebbero potuto giudicare Silvio Berlusconi. Negli Stati Uniti una sentenza di assoluzione in primo grado è definitva. negli Stati uniti la giuria popolare deve raggiungere l’unanimità per condannare, un solo giurato indissenso blocca la condanna.