Una giornata in preda all’attesa, all’ansia, all’ottimismo e anche alla paura. Il timore che tutto potesse crollare da un momento all’altro, che il negoziato tra Hamas e Israele naufragasse di nuovo. Poi, in serata, le notizie sono diventate sempre più positive, fino a diventare certezze. La tregua scatta il 19 gennaio e prevede tre fasi. E l’annuncio dell’emiro Al-Thani, nella conferenza stampa congiunta a Doha, ha messo il sigillo sulle trattative, facendo scattare la fase non solo nella Striscia di Gaza ma anche nelle città israeliane desiderose di riavere i propri ostaggi a casa.

Tregua a Gaza, la propaganda Usa

In serata Benjamin Netanyahu ha ribadito che alcune clausole andavano definite. Ed è stato un rincorrersi di notizie e di rivelazioni. Dall’arrivo in Qatar di una delegazione del Jihad islamico palestinese fino all’ok di Mohammed Sinwar, fratello di Yahya, che ha dato il via libera alla firma dell’accordo. Il presidente Isaac Herzog ha incontrato a Gerusalemme la presidente del Comitato Internazionale della Croce Rossa, Mirjana Spoljaric, per discutere i preparativi per il rilascio degli ostaggi. Poi dagli Stati Uniti è intervenuto il presidente eletto Donald Trump anticipando tutti, anche l’annuncio ufficiale del patto. “Con questo accordo in atto, il mio team per la sicurezza nazionale, attraverso gli sforzi dell’inviato speciale in Medio Oriente Steve Witkoff, continuerà a lavorare a stretto contatto con Israele e i nostri alleati per garantire che Gaza non diventi mai più un rifugio sicuro per i terroristi”, ha dichiarato The Donald. E dopo la conferenza di Doha, è intervenuto anche Joe Biden, che ha annunciato l’accordo rivendicando il merito della sua diplomazia.

33 ostaggi in cambio di oltre mille detenuti palestinesi

I media hanno confermato che i primi 33 ostaggi liberati saranno tutti vivi, e sono donne, bambini, anziani e uomini feriti. Poi, in un’altra fase, saranno consegnati gli altri rapiti e infine i resti dei morti. E i due grandi obiettivi – tregua nella Striscia di Gaza e liberazione degli ostaggi – sono ormai cristallizzati, come anche il periodo di tempo del cessate il fuoco (6 settimane) e il rilascio dei detenuti palestinesi, che saranno più di 1.000. Netanyahu ha convocato per oggi il governo. E nonostante il rifiuto da parte dell’alleato di ultradestra, Itamar Ben-Gvir, può contare sugli eventuali voti dell’opposizione, ma spera di poter convincere all’ultimo l’altro falco del governo: il ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich.

Il corpo di Sinwar e il rilascio di Barghouti: i no di Israele

Certo, i punti controversi non sono pochi. Soprattutto sulla fase successiva, quando il cessate il fuoco potrebbe diventare permanente con il ritiro dell’esercito israeliano dalla Striscia. Esistono ancora punti interrogativi sul controllo del Corridoio Filadelfia, sul ritorno degli sfollati nella parte settentrionale della regione palestinese fino alla definizione di una zona cuscinetto. Si discute anche del dopoguerra e di chi controllerà Gaza. E in questo senso, due richieste fatte dalla milizia confermano come le discussioni siano state più ampie della “sola” tregua. Una riguardava la restituzione del corpo di Yahya Sinwar, l’ex leader di Hamas ucciso dalle Israel defense forces. L’altra il rilascio di Marwan Barghouti dalle carceri israeliane.

Il ruolo di Barghouti

Sul corpo di Sinwar, Israele ha chiarito sin dal giorno della sua uccisione che non intendeva fornire ad Hamas un corpo da onorare e un luogo di sepoltura che può diventare un santuario del terrorismo. Allo stesso tempo, la partita per la liberazione di Barghouti è anche quella per il futuro della causa palestinese. Perché l’ex comandante di Fatah – condannato all’ergastolo per il coinvolgimento in 5 omicidi durante la Seconda Intifada – è ancora oggi considerato dalla popolazione palestinese un leader credibile e riconosciuto, al punto che Hamas, avversaria di Fatah, ne cerca la liberazione. Israele ha sempre detto di “no” alla sua scarcerazione. Ma qualcuno, più sottovoce, suggerisce che Barghouti ha già negoziato con Israele, ha un’idea di Stato palestinese slegata da Hamas e potrebbe fare come al-Jolani in Siria: svestire i panni del miliziano per ottenere il potere a qualsiasi costo, parlando anche con l’Occidente. E queste due partite indicano anche come il negoziato per la tregua sia un blocco unico per risolvere una serie di questioni che riguarda il presente e il futuro non solo della Striscia di Gaza.