Donald Trump ha nuovamente parlato degli ostaggi israeliani ancora trattenuti dai macellai del 7 ottobre, questa volta dicendo che se non saranno liberati quando lui si sarà insediato “sarà un inferno da pagare” (“there will be hell to pay”). Non si sa bene che cosa voglia dire e non si sa neppure come, concretamente, quella retribuzione infernale sarebbe apprestata.

Ma è una dichiarazione – in coda a un corteo di altre simili durante la campagna elettorale – che definisce una differenza significativa rispetto al contegno distratto che, sulla condizione e sulla sorte degli ostaggi, hanno ritenuto di assumere gli altri potenti del mondo, a cominciare dall’uscente Joe Biden e dalla vaporosa Kamala Harris che, nelle ambizioni dei democratici, avrebbe dovuto perpetuarne la missione. Retoricamente, ci si potrebbe domandare per quale motivo nessun leader del mondo cosiddetto libero abbia ritenuto, in quattrocentosessanta giorni di prigionia di quei rapiti, di fare la dovuta pressione sugli aguzzini di Hamas affinché capissero che l’uso terroristico dei rapimenti poteva tutt’al più costituire una ragione supplementare di condanna e un motivo di punizione senza tregua anziché, come è stato, il riconoscimento di una specie di lasciapassare su base ricattatoria.

Una possibile risposta è che i leader silenti ritenessero controproducente fare quelle pubbliche intimazioni, ma capisce chiunque che la spiegazione non può essere questa. Alternativamente, si potrebbe immaginare che quella ritenutezza fosse dovuta alla convinzione che si trattasse semmai di lavorare sottobanco, con interlocuzioni e negoziati di cui si supponeva la maggiore efficacia. E diciamo che, se era questa la spiegazione, ebbene la strategia si è rivelata a dir poco inconcludente. Rimane una sola ipotesi, allora. E cioè che della condizione e della sorte degli ostaggi, come si dice in anglo-normanno, non gliene fregasse proprio un bel niente a nessuno.

Non tanto, o non proprio, nel senso che quei plenipotenziari latitanti fossero crudelmente e personalmente disinteressati agli ostaggi: ma nel senso che la vita e la morte di questi qui costituivano, per quelli là, una posta ammissibile e quasi legittima nel gioco del conflitto. Ed è un atteggiamento, se possibile, anche più colpevole rispetto a un intimo disinteressamento malvagio. La realtà è che la strategia di Hamas riguardo agli ostaggi (l’altro giorno altri due trovati uccisi) è stata premiata da quella rinuncia diffusa a maledirla solennemente e, soprattutto, dalla decisione di assolverne gli autori, liberi dalla minaccia di qualsiasi conseguenza se non avessero rilasciato immediatamente e senza condizioni quegli innocenti.