A pochi giorni dall’avvicendamento di potere alla Casa Bianca, che lo distoglierà dall’incarico, il segretario di Stato Antony Blinken ha reso al New York Times un’intervista che condanna 14 mesi di connivenza della comunità internazionale con la strategia terrorista di Hamas. Ha spiegato – con la callidità che lo contraddistingue, e cioè senza riconoscere che gli Stati Uniti vi hanno partecipato – che l’opera di inesausta pressione su Israele, affinché ritardasse o non portasse a fondo le iniziative di estirpazione degli autori e dei mandanti del 7 ottobre, ha concretamente favorito Hamas. Ha spiegato che nessuno (ma senza aggiungere “nemmeno noi”) ha mai operato in modo fattivo affinché gli autori di quegli eccidi fossero sottoposti a qualsiasi definitiva intimazione ad arrendersi, a cedere le armi, a cessare le pratiche ricattatorie e sanguinarie sconsideratamente premiate dalla comunità internazionale che le equiparava alle operazioni israeliane, quando non le accreditava senz’altro quali legittime forme di resistenza.

Ha spiegato (per quanto, ancora, senza ammettere che la responsabilità relativa coinvolgeva anche l’amministrazione di cui era eminente rappresentante) che grazie a quella squilibrata sorveglianza, occhiuta sullo Stato ebraico e latitante sia su quelli che l’avevano sventrato sia sull’asse del male che li istigava e rifocillava, i macellai di Hamas non solo non sono stati indotti a rilasciare gli ostaggi, ma sono stati liberi di maneggiarne la vita e la morte nello scambio delle bozze di accordo padroneggiato dalla loro impunità aguzzina.

Dichiarazioni, queste di Blinken sugli ostaggi, tanto più implicanti visto il tempo in cui intervengono. Vale a dire oltre 450 giorni dopo il rapimento e, soprattutto, dopo il ritrovamento dei corpi di tanti di quei disgraziati uccisi in prigionia. In quell’intervista si domanda: “Perché non c’è stato un coro unanime, nel mondo, che chiedesse ad Hamas di cedere le armi, di liberare gli ostaggi e di arrendersi?”. E aggiunge: “Non ho una risposta”. Ma la risposta c’è, e risiede nell’avversione pregiudiziale a Israele che non solo ha contaminato il “mondo” cui vagamente si riferisce la deplorazione del segretario di Stato, ma ha lambito non senza notevoli effetti anche l’amministrazione statunitense. Lo ha fatto orientando il “tira e molla” sulle forniture delle armi rimesse alle dichiarazioni manipolate di un presidente tenuto su a farmaci e ricostituenti, incapace di distinguere un interlocutore da un palo della luce, divagante sulle bombe che finiscono per uccidere i civili mentre il suo staff non dice nulla se la Cnn gli mette in bocca ciò che egli non ha detto, e cioè che “Israele usa le armi per uccidere i civili”.

Lo ha fatto per il tramite della vice, quella Kamala Harris che per mesi non pronunciava la parola “ostaggi” sino a quando Donald Trump le rimproverava di essersene sempre dimenticata. Lo ha fatto impedendo all’amministrazione Biden di essere letteralmente travolta dalla mareggiata antisemita che ha invaso gli Stati Uniti, ingolfandosi nelle università in cui inneggiare allo sterminio degli ebrei non era necessariamente inappropriato, ma dipendeva dal contesto.
Il resto del mondo, certo, era complessivamente più avanzato e provetto nella coltivazione di quel pregiudizio. Quando l’Iran minacciava l’attacco che portò al lancio sui civili israeliani di 450 razzi, droni e missili balistici, almeno Joe Biden intimò il suo “Don’t”, non fatelo, ai burattinai del terrore, mentre i membri della cosiddetta comunità internazionale se ne stavano con le mani intrecciate dietro la nuca, nella placida attesa degli eventi.

E perché tutto questo? È tragicamente semplice. Perché il resto del mondo, non senza qualche contributo statunitense, ha sottovalutato – quando non ha negato punto e basta – che la guerra di Gaza era e continua a essere innanzitutto la guerra di Hamas, e relativi mandanti, contro Israele. Una guerra, appunto, osservata, giudicata e condannata in un processo che vede imputato chi la combatte avendola subita anziché quelli che l’hanno scatenata, finanziata, rivendicata.