Ricorderemo queste settimane di tarda primavera come le più tragiche o (speriamo) fra le più ridicole della Storia moderna rispetto alla questione centrale della guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina più di tre anni fa e lo stato delle trattive. È ufficiale: Trump e Putin si odiano e si insultano. Il presidente americano ha considerato un’offesa personale irreparabile i bombardamenti più feroci dall’inizio della guerra proprio mentre erano in corso colloqui riservati fra Mosca e Washington. Trump ha pronunciato queste parole: “Hello, Putin! Stai ben attento a non commettere errori irreparabili come minacciare gli Stati Uniti perché l’America è un Paese che non inizia le grandi guerre ma le conclude vincendo”. E ha ribadito di attendere non oltre le due settimane la decisione finale di Putin sul “cessate fuoco”.

Gli ha risposto con parole sferzanti Maria Zacharova, la potente portavoce (del ministero degli Esteri) del Cremlino, strappando a Trump qualsiasi ruolo di interlocutore e oscure minacce se insistesse a porre ultimatum. Ed ecco un fatto nuovo politico: l’America liberal e democratica fa quadrato con l’odiato Presidente con un articolo in evidenza dell’“Editorial Board” del New York Times che dà atto a Trump di aver agito bene con Putin e invitandolo a non cedere alla tentazione di abbandonare: riemerge così l’anima americana bipartisan di fronte alla minaccia di una guerra che schiuderebbe la porta di una graduale rappacificazione interna. E poi il ricompattamento europeo sotto la leadership del cancelliere Friedrich Merz (a cui la Nato chiede – secondo fonti Reuters – di aumentare le proprie forze per l’alleanza in Lituania a 40mila unità), che ottiene la benedizione di “Le Monde” organo della sinistra francese che scrive: “Di fronte al presidente americano Donald Trump e al russo Vladimir Putin, i dirigenti francesi, tedeschi, inglesi e polacchi si pongono come punta avanzata della mobilitazione europea a fianco di Kyiv: il ravvicinamento fra Macron, Merz, Starmer e Tusk costituisce un punto di svolta nel sostegno all’Ucraina”. Il messaggio nascosto è: non abbiamo alcuna prevenzione nei confronti della Germania leader della difesa in Europa.

Bisogna ora capire come la Russia, che aveva sempre rifiutato di sedere al tavolo con l’Ucraina riconoscendo come unico interlocutore il Presidente degli Stati Uniti, cambierà la sua strategia. Invierà una vera delegazione a Istanbul il 2 giugno per trattare direttamente con gli ucraini?
A rovesciare il tavolo russo-americano è stato Putin quando ha definito Trump un millantatore che si spaccia per mediatore affermando che il presidente russo vuole arrivare a una tregua, ma ponendo delle condizioni sempre più rigide. Trump rispose che avrebbe aspettato due settimane prima di prendere “decisioni gravissime” e ha dato del pazzo – “crazy man” – a Putin chiarendo che considera un affronto personale i bombardamenti delle città ucraine mentre erano in corso colloqui fra russi e americani. Peraltro ha criticato Zelensky per il suo “temperamento rissoso” ma Trump era visibilmente seccato per l’accoglienza che Merz ha riservato all’ucraino concedendogli il permesso di lanciare all’interno del territorio russo i missili tedeschi Taurus, anche se non ci sarà un uso immediato di armi che richiedono un lungo addestramento per essere usate sul campo di battaglia.

Nel giro di pochi giorni tutto sembra cambiato, a meno che non si tratti di un gigantesco e gattopardesco gioco delle parti. Putin ha accusato Trump di non saper controllare le sue emozioni e si è sentito dare del falsario. Dunque, salvo nuovi colpi di scena tragici o ridicoli, gli Stati Uniti sono per ora esclusi dalla trattativa tra Ucraina e Russia che finora si è svolta solo per organizzare scambi di prigionieri. Intanto il primo ministro turco Erdogan è attivissimo e cerca di convincere Russia e Ucraina ad andare a Istanbul il 2 giugno, non per un rito formale ma per parlare di tregua e cessate il fuoco. Al 2 giungo mancano poche ore.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.