Era il 27 settembre 2018 quando un esultante Luigi Di Maio si affacciava dal balcone di Palazzo Chigi annunciando agli italiani che la povertà era stata abolita. 5 anni dopo quell’annuncio più adatto al Venezuela di Maduro che a una democrazia occidentale, l’unica cosa che il Movimento Cinque Stelle sembra aver abolito è stata l’onestà.

Scopriremo infatti forse solo fra qualche anno quanto davvero è costato agli italiani il reddito di cittadinanza. Eh già, perché ai dati ufficiali relativi alla spesa pubblica destinata alla misura, vanno sommate le truffe emerse e quelle che- potenzialmente- non sono mai state scoperte, nonché i 270 milioni di euro spesi, nel complesso, non solo per retribuire ma anche per formare i mitologici navigator. Ma andiamo con ordine.

Per iniziare, in passivo vanno messi 8 miliardi per il 2022 e circa 20 miliardi nei tre anni precedenti. Poi, si entra in un buco nero, quello degli sprechi e delle truffe, fatto di pochi dati parziali e di tanti casi di cronaca che raccontano di furbetti che si sono avvantaggiati del sussidio, ai danni dei più bisognosi e dei contribuenti che, con il loro lavoro e i loro sacrifici, si sono trovati anche a riempire le tasche di criminali.

Per esempio, considerando la fascia temporale che va dal 1° gennaio 2021 al 31 maggio 2022 la Guardia di Finanza ha scoperto truffe per 288 milioni di euro, di cui 171 milioni effettivamente incassati e 117 milioni richiesti e non riscossi. Le storie di truffe affollano le cronache locali e nazionali. Si va dalle più sostanziose, come quelle emerse grazie al lavoro dei Carabinieri a Napoli per un periodo di 553 giorni che va da giugno 2021 all’ottobre del 2022, per un totale di 15 milioni di euro, 26.488,69 euro ogni giorno, 1.103,69 euro ogni ora. La truffa ha coinvolto 662 persone, fra le quali numerose con precedenti penali perfino per mafia e usura.

O come quelle scoperte di recente a Reggio Calabria, che sono costata ai contribuenti in totale 1 milione e 300000 euro e hanno visto coinvolte 120 persone. Pochi giorni fa, a Bari, un uomo, titolare di una tabaccheria, attraverso finti acquisiti, avrebbe invece riciclato 465.000 euro consentendo così di liquidare il reddito di cittadinanza a oltre 300 cittadini romeni.

La truffa è stata scoperta nell’ambito di un’indagine per falsa residenza degli stranieri. Un caso simile a quello accaduto a Bologna, dove fu scoperta, grazie al senso civico di una dipendente delle Poste, una truffa da 48000 euro che coinvolgeva cittadini stranieri che fingevano di risiedere in Italia ai fini di percepire il famigerato reddito. Ma anche a Roma, con truffe per oltre 200mila euro. Sempre nella capitale, un impiegato in un CAF della periferia est della città è stato trovato in possesso di moduli per l’autocertificazione del reddito dal contenuto totalmente falso. Avrebbe permesso, con questo sistema, a un centinaio di persone di incassare il sussidio senza averne diritto.

A Treviso, una donna riceveva il reddito di cittadinanza mentre si trovava ospite del carcere friulano: poca cosa la somma incassata, 3500 euro, ma significativo l’episodio che dimostra come siano lacunosi e difficili i controlli. Ci sono poi i casi, ancora più odiosi, che coinvolgono Mafia, Camorra e criminalità organizzata. Restando a Roma, è stato scoperto che 61 persone avevano truffato allo Stato mezzo milione di euro. Tra questi, esponenti dei clan Spada e Casamonica. A Cefalù, fra i 117 truffatori scoperto dai Carabinieri, alcuni avevano precedenti per Mafia. Lo stesso è accaduto in Puglia, Calabria, Campania. Il boss Gaetano Scotto, arrestato per Mafia, durante il processo ha dichiarato al GIP di percepire il sussidio perché nullatenente.

Alcuni episodi di truffe, riguardano poi persone salite all’onore delle cronache per omicidi feroci. Pietro Maso, che uccise brutalmente i propri genitori, per un periodo ha incassato il sussidio grillino, ma anche i Fratelli Bianchi, autori dell’omicidio del povero William, a Pomezia, che sconvolse l’Italia. E poi, storie che farebbero sorridere se non si trattasse di sperpero di denaro pubblico, come quella di una signora che viveva ai Caraibi e tornava in Italia solo per incassare il denaro del reddito.

O il caso di Perugia, dove un uomo si fingeva indigente ma aveva un parco macchine da fare invidia a un collezionista: Ferrari, Bentley, Lamborghini, Rolls-Royce. E ancora, solo pochi giorni fa una signora è stata pizzicata con un conto segreto aperto su un sito online di scommesse, contenente 25000 euro. Peccato che fingesse di essere nullatenente. Per poter elencare tutte le truffe legate al reddito di cittadinanza servirebbero cen tinaia di pagine. Eppure, anche da questo breve e non esaustivo elenco si capisce come sia una misura totalmente fallimentare: non ha abolito la povertà come di Maio sosteneva ma ha in compenso aumentato gli sprechi di risorse.

Il problema non risiede di per sé nell’idea di un sussidio che vada ad aiutare chi è oggettivamente inabile al lavoro e si trova in condizioni di indigenza. Combattere la povertà dovrebbe essere una priorità per l’azione di qualunque Governo. Il problema è come la si combatte. Se con i sussidi o con la creazione di posti di lavoro e con l’istruzione. La prima scelta è espressione di uno statalismo totalizzante. Quando Giuseppe Conte, parlando del Superbonus, utilizza l’avverbio “gratuitamente” in realtà sta esponendo un concetto molto chiaro e brutale: rinnega cioè la provenienza del denaro pubblico, che è frutto, per molta parte, delle tasse dei cittadini.

Per cui, si capisce bene come nel creare il meccanismo del reddito di cittadinanza, nessuno fra le fila del Movimento. Cinque stelle si sia preoccupato del fatto che quei denari potessero essere sprecati. In secondo luogo, quello stesso statalismo presuppone che non si debba incoraggiare e sostenere l’individuo nell’emancipazione dallo Stato ma lo si voglia legare indissolubilmente ad esso. La seconda strada che invece lo Stato può scegliere per combattere la povertà, è tipica di chi ha una visione liberale dell’azione pubblica. Punta sul lavoro e sulla scuola e quindi sulla decontribuzione per combattere gli stipendi da fame, sull’attrazione di investimenti e la costruzione di infrastrutture, per creare nuovi posti di lavoro. Chi invece ha una visione da Stato etico, vede nel sussidio la soluzione di tutti i mali.

Nel caso del Movimento Cinque Stelle, il reddito di cittadinanza è stato poi anche un potente mezzo di propaganda elettorale. Durante la campagna elettorale delle ultime politiche, Conte è stato definito il papà del reddito. Ha aizzato le folle contro la sua abolizione. Incassando poi, in termini elettorali, maggiormente laddove c’era un maggior numero di percettori del reddito.

La riforma Meloni, toglie ora, si spera, molti dei problemi che ha generato il sussidio grillino. Al contempo, è necessaria però un’azione potente del Governo nel campo della crescita e una valorizzazione maggiore del Terzo Settore nel sostegno a chi non ce la fa. Due le parole d’ordine: lavoro e sussidiarietà.

Benedetta Frucci

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