Sembra trascorso un secolo da quando il Consiglio comunale di Napoli rappresentava il tempio della politica. Eppure basta fare un tuffo negli anni Ottanta per ritrovare, nella Sala dei Baroni, alcune tra le più prestigiose personalità elette dai napoletani: una vera e propria consulta tra le categorie che attraversava l’intera assemblea da sinistra a destra. Il Pci dell’epoca si affidava a Maurizio Valenzi e Gerardo Chiaromonte, i socialisti al vicesegretario nazionale Giulio Di Donato, i liberali a Franco De Lorenzo, i socialdemocratici a Franco Picardi, i repubblicani a Giuseppe Galasso, i radicali a Marco Pannella, i missini a Giorgio Almirante, i democristiani a Enzo Scotti: una straordinaria “palestra” dove il confronto non poteva prescindere dai contenuti e dalla competenza e le tribune destinate all’informazione erano gremite da qualificati giornalisti che condividevano con gli eletti momenti di approfondimento, studio e serrato confronto. Gli spazi destinati al pubblico non erano mai deserti. Certo, in aula, non ci si annoiava, e nulla era scontato. Al di là dei numeri, il Consiglio comunale era il vero protagonista della politica cittadina.

Chi scrive ha avuto l’onore, il privilegio e il piacere di vivere quelle stupende e straordinarie stagioni, per molti aspetti storiche. Nessuno spazio era concesso alla demagogia. Chi non studiava veniva “incenerito” nel corso delle interminabili discussioni di merito. Era una gara continua tra calibri che al primo posto non potevano che scegliere la qualità. Per i mediocri non vi era alcuno spazio. I sindaci contavano, ma il ruolo del Consiglio comunale di Napoli non era di mero contorno, se non addirittura di tappezzeria, come purtroppo è stato negli ultimi dieci anni. La mediocrità che ha contrassegnato le ultime consiliature è spaventoso. E non si salva nessuna formazione partitica. È una fotografia nitida e impietosa. Chi non ricorda le battaglie di certa sinistra nel difendere l’Italsider, una maxi-struttura industriale antieconomica e inquinante che ha purtroppo bruciato migliaia di miliardi di vecchie lire? E l’impegno della destra missina nel sostenere e progettare la Napoli post-industruale, la naturale città di servizi degli anni 2000, la delocalizzazione degli impianti petroliferi e la creazione di un aeroporto internazionale fuori dalla cosiddetta “cinta daziaria”? Senza dimenticare il famoso progetto di Napoli porto franco. Tutte proposte supportate dagli studi di autorevoli architetti. La spettacolarizzazione non apparteneva a quei Consigli comunali. Certo, chi stava all’opposizione non rinunciava alla dura azione di contrasto e denuncia, ma al tempo stesso privilegiava sempre il ruolo di proposta così come dovrebbe sempre accadere in ogni assemblea elettiva.

Adesso ci si avvicina al rinnovo del Consiglio comunale e all’elezione diretta del nuovo sindaco. I partiti e i movimenti civici dovrebbero compiere un grande salto di qualità, cioè spingere seriamente affinché la politica torni dal suo esilio eleggendo in Consiglio comunale professionisti animati da passione per una ripartenza all’insegna della competenza. Personalmente ritengo che occorra inseguire un grande sogno a qualsiasi età, coltivare un ambizioso progetto; altrimenti non ha più senso la vita. Se Napoli vuole riconquistare uno spazio di rispetto e di manovra con Governo centrale e Regione, l’Assise cittadina deve mettere al primo posto lo spessore culturale e progettuale. E i partiti, anziché imbarcare navigati portatori di preferenze, devono puntare sui migliori elementi della loro classe dirigente; altrimenti Napoli continuerà a galleggiare senza proiettarsi verso un nuovo futuro. E questo non possiamo consentirlo. Sia a destra che a sinistra.