Archiviate la grande crisi finanziaria del 2008, quella del debito sovrano del 2011 e superata la pandemia, si riapre il cantiere per il completamento dell’Unione bancaria e per la costituzione di una garanzia europea sui depositi. Chiusi i primi due pilastri, vigilanza creditizia e risoluzione bancaria, il percorso per definire il terzo, l’Edis (European deposit insurance scheme), la garanzia in solido dei depositi, non sarà certo semplice.

Il presidente dell’Eurogruppo, l’irlandese Paschal Donohoe, ha presentato una proposta per arrivare al completamento dell’Unione bancaria in modo graduale ma con scadenze vincolate proponendo “un equilibrio tra quattro flussi di lavoro diversi” che riguardano “la gestione delle banche in difficoltà, una tutela più incisiva dei depositanti, un mercato dei servizi bancari più integrato e una maggiore diversificazione dei bond sovrani”. In un primo tempo la garanzia in solido dei depositi si baserebbe sui fondi nazionali che potrebbero beneficiare di prestiti provenienti dal Fondo europeo di protezione dei conti bancari; successivamente, sarebbe lo stesso Fondo a offrire forme di riassicurazione ai fondi nazionali. Altro delicato punto in discussione è la presenza nei bilanci bancari di titoli di debito sovrano in proporzione ai quali si dovranno corrispondere i contributi per accedere alla garanzia futura.

L’obiettivo è quello di raggiungere un accordo entro giugno considerando che alcuni paesi si sono riservati di intervenire quando avranno messo a fuoco le rispettive posizioni nazionali, altri definiscono la proposta un piano di lavoro ben equilibrato mentre molti altri hanno chiesto un lavoro supplementare. L’unico punto di convergenza raggiunto, con facile unanimità, è sull’esigenza di fare passi avanti. Il cuore della proposta è di affidare alle istituzioni della zona euro l’intero processo di risoluzione delle banche in crisi, togliendo alle autorità nazionali ogni margine di discrezionalità, e di introdurre una sorta di “addebito” per le banche che detengono titoli di Stato, almeno all’inizio calibrata sul rating sovrano. Una proposta di compromesso che dovrebbe equilibrare gli interessi degli Stati in modo equo ma che preannuncia comunque una discussione politica difficile a cominciare dal prevedibile ostracismo dei paesi ostili alla condivisione dei rischi, prima fra tutte la Germania. Questi paesi, infatti, sono da sempre contrari alla garanzia unica preoccupati di evitare che la crisi di un paese, oltrepassando i confini nazionali, possa far pagare il proprio conto a tutti gli altri. La richiesta della Germania è, ad esempio, di ridurre i rischi, dove eccessivi tra NPLs e titoli di Stato, prima ancora di aumentarne la condivisione.

«L’Unione bancaria può crescere e svilupparsi soltanto se evita di penalizzare qualcuno. Se per svilupparsi penalizza uno o più Stati membri, si arena come è stata arenata negli ultimi anni. Finché continua a essere prevista la penalità per le banche degli Stati che emettono molti titoli di stato, paesi come l’Italia faranno fatica a far passare il progetto perché avranno il problema di collocare i titoli del proprio debito pubblico. L’Unione bancaria si è sviluppata molto di più nella crescita delle attività di vigilanza che nell’unificazione delle regole». Concordiamo con il Presidente dell’Abi, Antonio Patuelli: nessuno Stato e nessun sistema bancario vanno penalizzati ma, al contrario, ogni diversità va salvaguardata e valorizzata. Come ha affermato solennemente a Strasburgo il Presidente del Consiglio, Mario Draghi: «Abbiamo bisogno di un federalismo pragmatico, che abbracci tutti gli ambiti colpiti dalle trasformazioni in corso, dall’economia, all’energia, alla sicurezza. Se ciò richiede l’inizio di un percorso che porterà alla revisione dei trattati, lo si abbracci con coraggio e con fiducia».

La biodiversità, compresa quella finanziaria, è oggi unanimemente considerata una condizione imprescindibile per un modello economico di “sviluppo sostenibile” proprio perché risponde a quelle trasformazioni in corso. Lo hanno dimostrato le banche del territorio, prevalentemente medie e piccole, che sono state fortemente impegnate nelle crisi di questi anni nel sostenere il tessuto economico locale, fatto di piccole e medie imprese, e le famiglie. Uno sforzo importante che va ad aggiungersi a quelli già compiuti con gli adeguamenti per l’introduzione di Basilea 3 e il superamento dei nuovi requisiti minimi prudenziali in tema di coefficienti patrimoniali. È allora necessario, anche nella costruzione del cosiddetto “terzo pilastro”, assicurare un giusto grado di duttilità che tenga conto delle diverse situazioni degli Stati e di un panorama bancario europeo non omogeneo, dove l’attività economica risulta estremamente fragile. Lo si può fare proprio preservando la biodiversità, prezioso fattore di stabilità e, in prospettiva, di crescita sostenibile.