Letture
Lo scaffale
Uomini nella notte, il capolavoro sconosciuto del medico che curò Hitler

Il protagonista di “Uomini nella notte”, scritto nel 1925 dal cecoslovacco Ernst Weiss, è nientemeno che Honoré de Balzac, e scusate se è poco se il più geniale scrittore moderno sia – perfettamente ritratto – al centro di questo meraviglioso romanzo, meraviglioso tanto che in molti momenti sembra proprio di leggere Balzac. Merito dunque della casa editrice Medhelan e della traduttrice e prefatrice Ginevra Quadrio Curzio, il regalo di questa pietra preziosa – sinora sconosciuta – che si deve a Ernst Weiss, medico (ebbe a curare anche un giovane Adolf Hitler!), scrittore amico di Kafka e che si tolse la vita il fatidico 15 giugno 1940 quando le truppe naziste entrarono a Parigi dove egli era andato a vivere: suicida come Walter Benjamin e Stefan Zweig, schiacciati dalla forza del nazismo.
La trama
La storia del romanzo è molto semplice. Balzac deve trovare il modo di scagionare un vecchio amico, il notaio di provincia Peytel (quanto furono importanti i mœurs– i costumi – della provincia per il vero Balzac) accusato dell’omicidio della moglie e del suo servitore. Il grande scrittore, venerato da Peytel come un Napoleone, addirittura come un Dio («Napoleone si crede un Dio, e Balzac si crede Napoleone») non crede affatto alla colpevolezza del caro amico. In effetti Peytel si è mostrato più che disperato, si è professato innocente, ha invocato il celebrato romanziere perennemente oberato dai debiti, dagli errori, dal colossale sforzo di lavoro a soccorrerlo nella causa che lo vede imputato. Balzac attinge a tutta la sua conoscenza dell’animo umano, quella che realmente riversò in decine e decine di opere, per penetrare quel “tenebroso affare” (è il titolo di un suo romanzo), e rendere giustizia all’amico in pericolo di essere condannato alla ghigliottina, e dunque lascia i suoi scritti (con che perdita di denaro!) e va nel paesino di Peytel e prepara una mirabile arringa.
Il rapporto tra Balzac e l’amico
Di qui la storia si annoda attorno al complesso rapporto psicologico tra Balzac e l’amico – forse entrambi innocenti, forse entrambi colpevoli – sino all’epilogo e anche oltre. Weiss – scrive Ginevra Quadrio Curzio nella prefazione – riprende motivi delle precedenti opere «in cui i protagonisti procedono a tentoni nell’oscurità e si assiste “alla loro stupida maniera di cadere in trappola, d’inciampare nel destino”». Non solo: qui c’è anche molto dell’irrazionalismo europeo che segna la storia di questo uomo senza qualità – Peytel come l’Ulrich di Musil – che afferma verità e menzogna nello stesso momento in uno sdoppiamento della personalità molto europeo, freudiano.
E poi c’è il gigante Balzac, eroico e vulnerabile, sicuro e incerto, il Napoleone della letteratura, che proprio all’imperatore di Francia dedica un lungo racconto nel racconto con pagine degne di Chateaubriand e di Tolstoj. Dunque Peytel è Balzac e Balzac è Napoleone: tutti e tre colpiti in vario modo dalla sorte. Ed è in fondo nella vita come tragedia il senso più recondito di questo capolavoro sconosciuto, per usare un altro celebre titolo di Honoré de Balzac.
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