La temperatura del pianeta Terra sale e si sciolgono i ghiacci, che rilasciano organismi tra cui anche virus che avrebbero potuto conservare la loro capacità infettiva. Sette i tipi di virus che sono stati scoperti, nove in tutto: congelati e sepolti per migliaia di anni nel permafrost siberiano e riportati dagli scienziati in vita in laboratorio, dove si sono replicati. Per gli studiosi è fondamentale indagare su questo tipo di possibilità visto l’incremento delle temperature e il possibile risveglio di patogeni antichi. L’obiettivo è sventare minacce future.
Il permafrost è lo strato di terreno permanentemente gelato – formato da ghiaccio, suolo, roccia e sedimenti – che si trova prevalentemente nell’emisfero nord della Terra tra Siberia, Canada, Alaska e Groenlandia per 23 milioni di chilometri quadrati. Quando si fonde, aumenta il termocarsismo che crea depressioni e laghi così come aumentano le emissioni di metano e altri gas serra. Il permafrost contiene grande quantità di carbonio sottoforma di materiale organico, come resti di piante e animali, non decomposto per via delle basse temperature. È profondo anche fino a un milione di anni.
Il team dell’Università di Aix-Marseille in Francia ha riportato in vita il virus più vecchio di sempre, congelato per oltre 48.500 anni nel permafrost a sedici metri sotto il fondo di un lago a Yukechi Alas, in Yakutia, in Russia. È un pandoravirus, un virus gigante che infetta organismi unicellulari noti come amebe. Qualora dovesse essere confermato si tratterebbe del virus più antico mai risvegliato. “Se gli antichi virus giganti rimangono infettivi dopo essere stati congelati per così tanto tempo, anche altri tipi di virus di mammiferi lo faranno”, ha sostenuto lo scienziato a capo del team citato da Il Corriere della Sera che ha riportato la notizia.
Il team ha scoperto e risvegliato anche altri virus vecchi anche 30mila anni e provenienti da resti di mammut congelati nel permafrost. Il più giovane per circa 27mila anni. I risultati degli studi sono stati pubblicati sulla piattaforma “bioRxiv”, archivio online gratuito di articoli in versione prepint, ovvero in attesa di revisione da parte della comunità scientifica. Quello da 48.500 sarebbe un vero e proprio record mondiale. Secondo gli studiosi è improbabile che i virus riportati in vita derivino dalla contaminazione dei campioni da parte di entità moderne essendo i loro genomi diversi dai virus già noti.
“Come sfortunatamente documentato dalle recenti pandemie, ogni nuovo virus richiede quasi sempre una risposta medica precisa, sotto forma di antivirale o vaccino. È perciò legittimo riflettere sul rischio di antiche particelle virali che rimangono ancora infettive e che potrebbero tornare in circolazione a causa dello scioglimento del permafrost”, ha commentato l’autore dello studio Claverie dell’Università di Aix-Marseille in Francia. “Mentre c’erano poche persone nell’Artico ad essere esposte a tali minacce di infezione sempre più persone si stanno spostando in queste aree per estrarre risorse come oro e diamanti. E il primo passo nell’estrazione mineraria è quello di rimuovere gli strati superiori del permafrost. Il pericolo è reale ma è impossibile calcolare il rischio”.
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