Il congresso del Pcc
Xi Jinping “imperatore” cinese, il presidente ottiene il terzo storico mandato e “commissaria” il Partito Comunista: al vertice solo i suoi fedelissimi
Xi Jinping si prende la Cina e il suo Partito Comunista. È questo l’esito, ampiamente prevedibile, emerso dal congresso del partito tenuto a Pechino.
Il presidente ha ricevuto infatti il suo storico e inedito terzo mandato consecutivo alla alla segreteria generale del Partito comunista cinese, come comunicato dallo steso Xi Jinping ai media cinesi e internazionali incontrati nella Golden Hall della Grande sala del popolo sfilando assieme al nuovo Comitato permanente del Politburo, l’organo di vertice del Pcc.
La prima plenaria del XX Comitato centrale ha visto aumentare ancora di più il potere del presidente, che resterà in carica fino al 2027 diventando praticamente una sorta di “imperatore” affiancato da una schiera di fedelissimi.
Gli altri sei membri del Comitato permanente del Politburo sono infatti uomini di massima fiducia per Xi Jinping: salta subito agli occhi l’assenza del vicepremier Hu Chunhua, unico possibile contrappeso al potere di Xi.
Quanto alle gerarchie, il numero due diventa il boss del partito di Shanghai, Li Qiang, promosso nonostante la pessima gestione della crisi Covid nella metropoli della scorsa primavera. Al momento non è chiaro se Li Qiang assumerà come ‘numero due’ la carica di governo di premier o capo della legislatura, con la scelta attesa per il prossimo marzo.
Numero tre della gerarchia interna diventa Zhao Leji, 65 anni, in questi anni a capo della campagna anti-corruzione del Partito; dietro di lui l’ideologo del Partito e l’uomo dietro al pensiero del presidente, il 67enne Wang Huning; posizione numero cinque per Cai Qi, capo del Partito della capitale Pechino; al debutto Ding Xuexiang, numero 6 della gerarchia e capo dello staff del presidente; ultima posizione del Comitato permanente del Politburo per Li Xi, segretario della provincia di Guangdong, anche lui al debutto.
Ma il potere assoluto resta nelle mani di Xi, che resta anche a capo della Commissione militare centrale come commander-in-chief delle forze armate cinesi. Il presidente-imperatore ha promesso nel suo discorso alla nazione “nuovi miracoli che impressioneranno il mondo”.
A 69 anni, il presidente con le sue scelte non ha fatto emergere un possibile successore: anzi, gli uomini attorno a lui saranno in età “pensionabile”, mentre la vecchia guardia del Partito è già stata fatta fuori, come dimostra l’impressionante scena della cacciata, quasi di peso, del suo predecessore Hu Jintao. Il vecchio leader, 80 anni, è stato trascinato quasi di peso dall’aula in cui erano riuniti i 2300 delegati del partito, con l’agenzia stampa di Stato Xinhua che ha diplomaticamente parlato di “un malore”.
Dei sette membri uscenti del Comitato permanente del Politburo, quattro sono stati esclusi dal nuovo organigramma: si tratta del premier di Keqiang, di Li Zhanshu, di Han Zheng e di Wang Yang, considerato alla vigilia uno dei possibili candidati a raccogliere la premiership nel nuovo quinquennio.
Ma che il potere sia ormai quasi esclusivamente nelle mani del presidente emerge anche dalla modifica alla Costituzione, che ha consolidato lo status di Xi come “nucleo” del partito. Si tratta del risultato dell’approvazione di un emendamento da parte del XX Congresso nazionale, comprensivo dei cosiddetti “due stabili” e delle “due salvaguardie”: si tratta di misure, in base al comunicato finale diffuso, volte a cementare lo status centrale di Xi e il ruolo guida del suo pensiero politico all’interno del Pcc. Nella sua Carta fondamentale inoltre il Partito ha sancito la sua ferma opposizione all’indipendenza di Taiwan: il congresso “accetta di includere nella Costituzione del partito” varie dichiarazioni, tra cui quelle sulla lealtà politica e militare e sulla costruzione di forze armate di livello mondiale, nonché quella sulla “opposizione risoluta per scoraggiare i separatisti che cercano l’indipendenza di Taiwan“.
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