Da quando la speaker della Camera statunitense Nancy Pelosi è atterrata a Taiwan, la situazione con la Cina è subito diventata tesissima. Ma cosa sta succedendo intorno alla piccola isola, a 180 km dalla Cina? Perché è un luogo così importante per Cina e Usa? Le fibrillazioni e le esercitazioni militari dopo la visita di Nancy Pelosi sono solo l’ultimo episodio di una lunga serie di conflitti e rapporti complicatissimi.

Tra martedì 2 e mercoledì 3 agosto Nancy pelosi è atterrata a Taiwan. La visita era stata annunciata molti mesi fa ma fino all’ultimo non era certo che la speaker sarebbe davvero arrivata. La reazione nel governo cinese è stata immediata: Giovedì l’esercito cinese ha avviato imponenti esercitazioni militari nelle acque che circondano l’isola, provocandone di fatto il blocco totale. Di Crisi dello stretto di Taiwan ce ne sono state varie in passato e sono il frutto di 70 anni di rapporti conflittuali tra Cina e Taiwan.

Taiwan è di fatto uno stato indipendente con proprie istituzioni, un governo eletto democraticamente ma a livello diplomatico non è riconosciuto come tale da quasi nessun paese del mondo con rare eccezioni. La Cina rivendica l’isola come propria. L’isola ha un’economia florida e una posizione geografica che la rende un punto strategico importante per la politica estera della Cina. qualsiasi relazione bilaterale, soprattutto se formale, tra Taiwan e un paese terzo viene considerata una minaccia diretta all’integrità territoriale cinese, come è stato il caso della visita di Pelosi.

Essendo in una posizione geografica e politica così delicata, ogni volta che si verificano crisi in quella regione si parla di un’eventuale invasione militare della Cina e del rischio di una guerra su vasta scala. L’esercitazione di queste ore viene ritenuta da analisti e commentatori anche come un test di un’eventuale invasione, che tuttavia al momento è da considerare un’ipotesi estremamente remota.

Da cosa è iniziato il conflitto tra Cina e Taiwan? L’isola, grande quanto la Danimarca con 23 milioni di abitanti, per secoli è stata considerata dalla cina parte dell’impero. All’inizio del ‘900 la conquistò il Giappone. Dal 1949 Taiwan assunse un’importanza fondamentale nella politica cinese e internazionale. In quell’anno il Partito comunista cinese vinse la guerra civile contro il Kuomintang, l’amministrazione nazionalista che aveva governato la Cina fino a quel momento. Il leader del Kuomintang, Chiang Kai-shek, fuggì e trovò rifugio a Taiwan con quel che rimaneva del suo esercito e della sua amministrazione, oltre a moltissimi civili.

Nel 1949 oltre due milioni di cinesi, in maggioranza membri dell’esercito e dell’amministrazione del Kuomintang e le rispettive famiglie, scapparono dalla Cina continentale verso Taiwan e avviarono la costruzione di un nuovo stato. Chiang Kai-shek istituì il suo governo a Taipei e lo presentò al mondo come il governo legittimo di tutta la Cina, benché in esilio sull’isola di Taiwan.

Per buona parte della Guerra fredda Taiwan fu riconosciuto dagli Stati Uniti e dai paesi del blocco occidentale, ed ebbe un seggio permanente al Consiglio di sicurezza dell’ONU, mentre la Cina aveva relazioni solo con i paesi del blocco sovietico. Taiwan era visto come un alleato fondamentale per il contenimento del comunismo in Asia, nonostante il regime di Chiang Kai-shek fosse sanguinario, autoritario e violento: fino al 1987 rimase in vigore la legge marziale con cui il governo reprimeva ogni forma di dissenso e annullava i diritti politici e civili degli abitanti di Taiwan. In questo contesto le relazioni tra Cina e Taiwan diventarono molto tese.

Le relazioni tra la Cina e Taiwan rimanevano ovviamente molto tese. Negli anni Cinquanta ci furono due delle tre Crisi dello stretto di Taiwan. La prima crisi quando Chiang spostò decine di migliaia di soldati nelle vicine isole di Quemoy e dell’arcipelago di Matsu, che vennero bombardate brevemente dall’esercito cinese. La situazione rientrò in seguito all’intervento della marina statunitense, ma la tregua durò poco. Nel 1958 ci fu una seconda crisi, provocata dal leader comunista Mao Zedong.

Mao in quegli anni era in rotta con il leader sovietico Nikita Kruschev, che voleva istituire una marina militare congiunta con la Cina. Lo scontro sembrava essere risolto e il clima disteso qujando Mao attaccò militarmente Taiwan. L’Unione Sovietica era contraria al progetto di riconquista dell’isola da parte dewlla Cina perché poteva destabilizzare la situazione internazionale già precaria e portare a un’escalation tale da giustificare l’uso della bomba atomica da parte degli Stati Uniti tra l’altro per la piccola isola di Taiwan. Mao bombardò le isole Jinmen e Mazu al largo di Taiwan. Lo fece senza avvertire i russi come stabilito da un trattato qualche anno prima. Kruschev mandò il ministro degli Esteri Andrei Gromyko per capire le intenzioni di Mao: di nuovo, Kruschev non voleva iniziare una guerra nucleare e soprattutto non voleva iniziarla per Taiwan. Poi la situazione rientrò non è chiaro se per volontà di Mao o per l’intervento dei russi che quella guerra non la volevano.

Negli anni ’70 la visita del presidente americano Nixona Pechino e il riavvicinamento diplomatico delle due nazioni cambiò gli scenari. Nel 1971 l’Assemblea generale dell’ONU votò per rimuovere Taiwan e accolse al suo posto la Cina comunista. In quegli stessi anni, più o meno tutti i paesi che riconoscevano Taiwan come governo legittimo della Cina ne interruppero i rapporti diplomatici e cominciarono a stabilirli con la Cina. Fu quello il momento in cui iniziò l’ambiguità: gli Stati Uniti riconoscono che esiste una sola Cina e che Taiwan ne fa parte, ma evitano di specificare se quella “sola Cina” sia quella comunista o quella erede dei nazionalisti di Chiang. In ogni caso, questa risoluzione prevede che gli Stati Uniti abbiano relazioni diplomatiche formali solo con la Cina comunista, pur mantenendo relazioni informali con Taiwan e garantendole assistenza militare.

E da qui la complicata situazione attuale. In uno storico incontro nel 1992 che ci fu a Hong Kong tra le rispettive delegazioni, Cina e Taiwan concordarono sull’esistenza di un’unica Cina, stabilendo però di essere in disaccordo su cosa significhi “Cina” e a cosa si riferisca (se alla Repubblica Popolare Cinese, cioè la Cina comunista, o alla Repubblica Cinese, quella di Taiwan). Di fatto, l’interpretazione della dicitura “politica dell’unica Cina” dipende da chi la pronuncia, e in alcuni casi può variare anche moltissimo.

La questione di Taiwan è dunque rimasta sempre un nervo scoperto. Secondo l’analisi fatta dal Corriere della Sera la Cina è in crisi economica e il segretario del Partito-Stato cerca di distrarre l’attenzione dei cinesi preoccupati per i loro redditi e il loro lavoro con un diversivo nazionalista. Dopo aver proclamato ripetutamente che “la questione della riunificazione di Taiwan non può essere lasciata alle generazioni future”, il segretario generale non può mostrarsi debole di fronte a una mossa americana percepita come una provocazione. Quando la settimana scorsa Joe Biden ha parlato con Xi Jinping in videosummit, ha osservato che lo status quo di Taiwan ha funzionato e preservato la pace per oltre quarant’anni.

Cosa importa all’America di Taiwan? se l’isola democratica cadesse, la credibilità americana nel Pacifico subirebbe un’umiliazione mortale e tutto il suo sistema di alleanze in Asia crollerebbe. Neanche Sud Corea e Giappone si sentirebbero al sicuro sotto un ombrello difensivo americano perforato dai cinesi a Taiwan. In questo, la visita di Nancy Pelosi, non concordata con la Casa Bianca, ha innescato una spirale bellicosa dagli esiti imprevedibili, proprio mentre l’Occidente è impegnato sul fronte ucraino. Tuttavia da molti mesi centinaia di aerei cinesi, tra caccia e bombardieri, volano minacciosamente intorno a Taiwan, senza alcun pretesto, senza alcuna visita percepita come provocazione. E non si può dimenticare che una legge del Congresso di Washington, il Taiwan Relations Act del 1979, impegna i presidenti americani a fornire a Taiwan i mezzi per difendersi da un’eventuale aggressione (anche se Pechino la chiamerebbe operazione di riunificazione).

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Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.