Finirà di nuovo in galera – a meno che non ci sia ancora un giudice a Berlino, cioè in Cassazione – l’avvocato Giancarlo Pittelli. Lo ha deciso il tribunale del riesame di Catanzaro, presieduto da Filippo Aragona, il giudice che vorrebbe far inserire il reato di associazione mafiosa tra i crimini contro l’umanità. E di lui si è capito come la pensa quando, l’11 febbraio scorso, ospite, proprio nel capoluogo calabrese, dell’inaugurazione dell’anno giudiziario dei penalisti italiani, ha anche alluso al fatto che il mafioso non possa pretendere diritti per i propri figli, visto che lui non rispetta quelli degli altri, quando spara e uccide. Il che sta a significare che lo Stato debba comportarsi come un boss assassino. O anche che la “razza” mafiosa non debba godere di diritti. Neanche per i bambini.

Pochi minuti per la decisione, e sole settantadue ore in tutto per la discussione, al termine della quale il tribunale ha accolto l’appello del procuratore Gratteri contro la decisione con cui i giudici di Vibo Valentia avevano rimandato a casa l’avvocato calabrese, e ha stabilito che, “nel momento in cui la presente decisione diverrà definitiva, nei confronti di Pittelli Giancarlo venga ripristinata la misura della custodia cautelare in carcere”. Dando per scontato che la corte di Cassazione, deputata a dire la parola finale sugli appelli dei pm, si appiattirà, proprio come il tribunale del riesame, sulle richieste della Procura. Sempre immobile sulla propria ipotesi accusatoria, che suona più o meno così: Pittelli è troppo importante per dimostrare la tesi dell’inchiesta ”Rinascita Scott”, la trattativa calabrese tra gli uomini della ‘ndrangheta, la massoneria e la società civile. Se ci scappa via dalle mani l’avvocato, si sbriciola il maxiprocesso in corso nell’aula bunker di Lametia. Ecco perché il prigioniero deve essere rinchiuso e isolato, mentre il procuratore Gratteri è in attesa di sapere dal Csm se diventerà il numero uno a capo della Procura nazionale Antimafia. E anche ieri avrà potuto mettere una nuova tacca alla cintura. Tutto fa curriculum.

Gli avvocati Salvatore Staiano e Guido Contestabile, che si sono spesi con interventi per tre ore e mezzo per poi vedere un’ordinanza bella pronta e confezionata nello spazio di pochi minuti, sono sempre più sconcertati. Decisione “eccentrica ed eccessiva”, commenta Contestabile, “non ci sono ragioni consistenti per giustificare il carcere. Siamo ancora fermi alla lettera di Giancarlo all’onorevole Carfagna, su cui peraltro il tribunale di Catanzaro non si è mai pronunciato”. Sgomenti gli amici di Pittelli del Comitato presieduto da Enrico Seta, che denunciano “l’appiattimento” del tribunale sulle posizioni della Dda e la “ferocia di una macchina giudiziaria…che sembra aver smarrito ogni buon senso ed equilibrio”. Il concentrato del discorso è sempre lo stesso: la paura che il potere relazionale e comunicativo di Giancarlo Pittelli sia in grado di condizionare il tribunale che sta celebrando il processo nei confronti suoi e di altre trecento persone a Lametia.

Un collegio composto di tre donne, dopo che l’iniziale Presidente Tiziana Macrì era stata ricusata dalla Procura con una motivazione formale veramente secondaria. E sarà un caso che sulle tre giudici del tribunale di Vibo Valentia – Gilda Danila Romano, Germana Radice e Francesca Lofffredo, quelle che, mentre Pittelli era oltre il ventesimo giorno di sciopero della fame, ne avevano disposto il ritorno alla detenzione domiciliare – abbiano infierito nell’udienza del riesame sia gli uomini della procura che quelli del Tribunale di Catanzaro. Anche con l’ordinanza. Che definisce il provvedimento delle colleghe come affetto da “vizi di logicità, ragionevolezza e coerenza argomentativa”. Eppure gli argomenti che avevano ridato la vita all’avvocato (Volete fargli fare la fine di Cagliari? avevamo scritto) erano molto semplici: il trascorrere del tempo e il comportamento dell’imputato.

Il tic-tac del tempo ci riporta a quel blitz del dicembre 2019 –è passato un secolo – in cui Pittelli fu arrestato e sbattuto nel peggior carcere speciale italiano. Poi l’orologio si sposta su un anno dopo, con la concessione degli arresti domiciliari da parte del tribunale della libertà, che aveva tenuto conto della sua età e del fatto che fosse incensurato. Elementi che permangono, anzi quello dell’età si è, per fatti naturali, aggravato. Ma oggi paiono non contare più. Poi in mezzo c’è stato il breve arresto da parte dei giudici di Reggio Calabria, che però si sono ravveduti subito. E intanto l’uomo-pacco postale andava avanti e indietro. Poi ancora carcere speciale per la maledetta lettera alla ministra Carfagna. Poi il ritorno a casa e infine le bizze (ci scusi procuratore, ma non è più una cosa seria) di Nicola Gratteri e infine la decisione di ieri del tribunale guidato dal presidente-profeta Aragona. E poi, e poi, e poi. Ma vi pare una cosa seria, nella sua tragicità?

Avatar photo

Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.