Sul caso dell’omicidio di Yara Gambirasio si accende un nuovo faro. Ora si chiama in causa la pm Letizia Ruggeri che, dopo quattro anni di inchiesta e prelievi del Dna a tappeto, nel 2014 risolse il caso. Ruggeri deve essere indagata per depistaggio in merito alla presunta non corretta conservazione dei 54 campioni di Dna rinvenuti sul corpo della 13enne di Brembate e che la difesa di Massimo Bossetti chiede da tempo di potere analizzare. Lo ha stabilito il gip di Venezia Alberto Scaramuzza che ha ordinato la trasmissione degli atti al pm della procura veneta perché proceda all’iscrizione nell’apposito registro. Massimo Bossetti, condannato in via definitiva all’ergastolo, con i suoi difensori Claudio Salvagni e Paolo Camporini, aveva presentato una denuncia per frode processuale e depistaggio alla procura di Venezia. Il punto principale contestato è lo stato di conservazione dei 54 campioni di Dna residui trasferiti, dopo i tre gradi di giudizio, dal San Raffaele di Milano all’ufficio corpi di reato a Bergamo.
La nuova inchiesta arriva a 12 anni dalla morte della tredicenne di Brembate di Sopra e a quattro dalla condanna definitiva all’ergastolo di Bossetti. La tramissione degli atti alla Procura perché proceda all’iscrizione nel registro degli indagati della pm del caso Yara, Ruggeri, che non era mai stata indagata, per il gip è l’unico “provvedimento adottabile” al termine dell’udienza di opposizione all’archiviazione per il presidente del Corte d’Assiste di Bergamo e di una cancelliera. Questo a fronte di una “denunzia-querela e in un atto di opposizione” presentato dai legali di Bossetti Claudio Salvagni e Paolo Camporini “in buon parte indirizzati nei riguardi proprio” della pm che condusse le indagini e sostenne l’accusa nel processo a Bergamo che portò la condanna all’ergastolo di Bossetti.
Il gip di Venezia Alberto Scaramuzza, archiviata la posizione del presidente della Corte d’Assise Giovanni Petillo e della funzionaria dell’ufficio corpi di reato Laura Epis indagati in un primo momento, ora trasmette gli atti alla procura di Venezia relativamente al pm Letizia Ruggeri, come anticipato dall’agenzia Adnkronos. Dunque il gip, archiviando gli altri due, trasmette gli atti alla Procura perché venga iscritta Ruggeri con la stessa ipotesi. Il gip scrive di “necessità di un’estensione soggettiva dell’iscrizione nei suoi confronti a mod 21 (notizie di reato ndr) in relazione all’unico reato attualmente iscritto”, sempre cioè la frode in processo e depistaggio. Questo “sia al fine di permettere al pm una compiuta valutazione anche della sua posizione in relazione a tutte le doglianze dell’opponente” che “al fine di permettere alla stessa un’adeguata difesa”.
La questione riguarda le 54 provette contenenti la traccia biologica mista di vittima e carnefice, spostati dal frigorifero dell’ospedale San Raffaele di Milano all’ufficio Corpi di reato del tribunale di Bergamo. Per i difensori di Bossetti, quel cambio di destinazione, interrompendo la catena del freddo (i campioni erano conservati a 80 gradi sottozero) potrebbe aver deteriorato il Dna rendendo vano qualsiasi eventuale tentativo di nuove analisi. Gli avvocati di Bossetti più volte hanno chiesto di poter accedere ed esaminare reperti dell’indagine e i campioni di Dna, e di conoscerne lo stato di conservazione. A inizio dicembre sono arrivati gli ultimi due no di due diverse Corti d’Assise.
Il procuratore di Bergamo Antonio Chiappani, ha commentato così la decisione anticipata proprio dall’AdnKronos: “Resto francamente sorpreso che dopo 3 gradi di giudizio, dopo 7 rigetti dei giudici di Bergamo sia all’analisi che alla verifica dello stato di conservazione dei reparti e dei campioni residui di dna, dopo che nei tre gradi di giudizio era stata respinta la richiesta difensiva di una perizia sul Dna, dopo la definitività della sentenza sopravvenuta nell’ottobre 2018 che ha accertato la colpevolezza dell’autore dell’omicidio di Yara, e dopo che era passato più di un anno da tale definitività, si imputi ora al pm il depistaggio in relazione alla conservazione delle provette dei residui organici, rimasti regolarmente crioconservati in una cella frigorifera dell’istituto San Raffaele fino a novembre 2019, quindi oltre un anno dopo il passaggio in giudicato della sentenza della condanna, e solo successivamente confiscati come prevede il codice di procedura” evidenzia. “Il provvedimento di Venezia arriva dopo che per altre due volte la corte d’Assise di Bergamo aveva negato ai difensori l’accesso a tali provette e dopo che la procura di Venezia aveva chiesto l’archiviazione della posizione del presidente della Corte d’Assise di Bergamo e di una cancelliera a seguito della denuncia per depistaggio” ricorda il procuratore Chiappani che si dice “fiducioso che in sede di indagini emergerà la correttezza dei comportamenti tenuti dalla collega“.
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