Un 8 marzo di impegno per i diritti. Così come la senatrice Mariastella Gelmini, l’onorevole Mara Carfagna, Noi Moderati-Centro Popolare, plaude al Ddl Femminicidio.

Che 8 marzo è quest’anno per le donne?
«Un giorno di orgoglio, di riflessione e anche di impegno, come sempre. Abbiamo compiuto enormi passi avanti rispetto alle nostre madri e alle nostre nonne ma c’è ancora molto da fare. Sul lavoro, dove l’aumento dell’occupazione è vistoso ma le donne restano fanalino di coda. Sui servizi, dove il Lep asili nido che ho incardinato e finanziato tre anni fa deve trovare ancora piena applicazione. Sulla sicurezza, perché la piaga della violenza non è sconfitta e l’allarme è quasi quotidiano».

Il nuovo disegno di legge prevede per il femminicidio l’aggravante dell’ergastolo per una ampia casistica, è d’accordo con questo impianto?
«Il Ddl presentato ieri fa di più: qualifica il femminicidio come un reato specifico e lo definisce in modo preciso. È un grosso passo avanti, che chiude per sempre le inqualificabili polemiche di chi nega il fenomeno. Credo che il testo abbia anche una valenza culturale ed educativa: dice a tutti che usare la violenza contro una donna per reprimere la sua libertà e limitare l’esercizio dei suoi diritti è giudicato dallo Stato un reato gravissimo, punito con il massimo della pena».

Sui maltrattamenti l’inasprimento delle pene dà il segnale giusto?
«Guardi, personalmente sono sempre stata piuttosto critica rispetto al panpenalismo ma in questo caso no, sono pienamente convinta che c’era bisogno di scelte nette da parte dello Stato. I dati del Viminale segnalano una deriva pericolosa. Gli ammonimenti per violenze domestiche sono aumentati del 126 per cento in un anno, quelli per stalking o revenge porn del 44 per cento. Più di cinquemila soggetti sono controllati col braccialetto elettronico: posso solo immaginare l’ansia delle loro vittime. Serviva un segnale forte, è stato dato».

Sulla conciliazione famiglia-lavoro si sta facendo abbastanza? Le donne che rinunciano alla carriera sono ancora tante, troppe…
«In una fase di rilancio generale dell’occupazione il lavoro femminile, purtroppo, è ancora penalizzato dalla mancanza di servizi. Secondo l’ultimo rapporto Cnel-Istat più di un terzo dei 7,8 milioni di donne segnalate come “inattive” lo è per motivi famigliari, cioè perché ha figli o parenti anziani da accudire. Al Sud la quota è più alta e conferma lo stretto legame tra lavoro femminile e infrastrutture sociali, ma non solo. Meno servizi significa meno lavoro, meno reddito famigliare e quindi meno natalità: una tendenza che va assolutamente invertita».

Una recente sentenza equipara al maltrattamento l’impedimento alla donna, da parte del marito o del convivente, dell’attività lavorativa. Una conquista di civiltà, si riuscirà ad applicare?
«Quella sentenza non ha fatto altro che confermare e ribadire norme di legge, ma è stata comunque importante: ha dato ragione a una donna coraggiosa, che ha avuto la forza di denunciare i maltrattamenti subiti. L’Italia non è l’Afghanistan, e se c’è qualche uomo che ancora non lo ha capito magari è tempo che si aggiorni».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.