Sono terminati con un nulla di fatto i colloqui a Istanbul per un tentativo negoziale tra Ucraina e Russia. Con l’assenza di Putin e anche di Lavrov era facile prevederne il fallimento. Nel format delle delegazioni di Turchia, Russia e Ucraina, i russi hanno chiesto il ritiro delle truppe ucraine da quattro regioni (Kherson, Luhansk, Donetsk, Zaporizhia), già inserite nella loro “Costituzione” come territori russi, anche se Mosca non controlla completamente i quattro oblast che sono stati solo parzialmente occupati. In sostanza è come se la delegazione russa avesse chiesto il ritiro delle truppe ucraine dall’Ucraina.

Putin è fermo

Putin, dunque, conferma di essere rimasto fermo sulle richieste avanzate nel 2022, nel primo tentativo di colloqui tenuti a Istanbul e ad Antalya. È fermo nella sua esplicita richiesta che si avviino trattative sulla base di quella sua proposta che conteneva richieste irricevibili da Kyiv, sia in merito alla questione dei territori rivendicati da Mosca, sia in merito alle garanzie di sicurezza invocate dall’Ucraina. Il leader russo vuole tutto, anche quello che non ha occupato, non solo il riconoscimento da parte di Kyiv e della comunità internazionale della Crimea come regione appartenente alla Russia, questione sulla quale Zelensky si era mostrato cautamente aperto chiedendo di non considerarla all’interno di questo negoziato per il cessate il fuoco.

Mosca vuole un’Ucraina “neutrale, non allineata e denuclearizzata”, vuole il suo disarmo e la cosiddetta “denazificazione” del paese. Queste richieste così categoriche espresse in colloqui per l’avvio di un negoziato di pace fanno intendere che Putin voglia prendere tempo (o forse addirittura perderlo) per logorare l’Ucraina con un conflitto ancora più lungo, confortato dall’atteggiamento Usa troppo condiscendente nei propri confronti. Dal canto suo la delegazione di Kyiv conferma la richiesta di negoziati diretti tra i capi di stato di Russia e Ucraina. Ma Putin non riconosce né la sovranità dell’Ucraina né Zelensky in veste di presidente.

Nulla di fatto

Non è disposto a sedersi al tavolo come un leader alla pari. Il capo dell’ufficio del presidente ucraino, Andriy Yermak, che ha partecipato ai negoziati, ha chiaramente sottolineato che la guerra deve concludersi con una pace sostenibile e giusta, e che un cessate il fuoco completo e incondizionato è il fondamento per ulteriori decisioni. Alla fine della due giorni di sterili colloqui le due delegazioni escono dal palazzo di Dolmabahçe con un accordo solo sullo scambio di prigionieri. Il Ministero della Difesa ucraina rende noto che è stato concordato con la Russia lo scambio di 1.000 prigionieri di guerra. Il deludente esito di Istanbul non deve sorprendere. Il leader del Cremlino aveva fatto sapere sin da subito che né lui né il suo ministro degli Esteri Lavrov si sarebbero recati in Turchia né tantomeno avrebbero incontrato Zelensky.

In realtà Putin non aveva mai fatto una dichiarazione ufficiale in cui affermava la sua disponibilità ad avviare i negoziati di pace, si era semplicemente limitato a rilasciare ai giornalisti che lo intervistavano una dichiarazione del tutto informale in cui diceva di non essere contrario all’avvio di negoziati a Istanbul. Nulla di più. Dunque, non deve sorprendere quest’ultimo fallimento nel tentativo di intavolare un negoziato di pace. È stato Trump a convincere Zelensky a cogliere al balzo queste parole lanciate da Putin in maniera del tutto informale e a chiedere la sponda di Erdoğan nell’ospitare le delegazioni russa e ucraina a Istanbul. Ankara, che è in grado di dialogare sia con Putin che con Zelensky ha colto con slancio l’iniziativa di Trump contenta di essere tornata a svolgere il ruolo di facilitatore nel tentativo di far sedere al tavolo i due avversari.

Passaggio di testimone

Ma, in realtà più che di una politica di moderazione e di equilibrio o di “neutralità proattiva”, come ama definirla il governo turco, la Turchia finora ha svolto una politica di equilibrismo tra Washington e Mosca e tra Kyiv e il Cremlino. Trump ha fallito nel suo dialogo con Putin e ha affidato all’amico Erdoğan il testimone di arbitro nella difficilissima trattativa con la promessa della revoca per Ankara delle sanzioni CAATSA, da esse subite per aver acquistato gli S-400 dalla Russia e il reintegro nel consorzio della produzione e acquisizione dei caccia F-35.