Zelensky si è recato ad Ankara mentre a Istanbul arrivava una delegazione di alto livello del governo ucraino guidata dal ministro del Esteri e della Difesa. Erdoğan lo ha accolto nel suo palazzo presidenziale e hanno ricevuto la conferma che Putin non si sarebbe recato in Turchia.
Il leader russo ha così fatto scoprire il suo bluff, non si è presentato nonostante i ripetuti appelli di Trump e del presidente turco e, per tutta risposta, ha inviato nel palazzo di Dolmabahçe della megalopoli turca una delegazione puramente tecnica di basso livello e senza alcun ministro, rendendo del tutto evidente così lo scarso impegno a far partire un dialogo negoziale che avesse un minimo di credibilità e ponendo sul tavolo la questione del “cessate il fuoco” ritenuta pregiudiziale per Kyiv, per Washington e per Ankara.

Il bluff dello zar

Putin si era apertamente dichiarato non favorevole ad alcuna tregua; a chiacchiere dice di voler porre fine alla guerra, ma non fa alcun passo concreto in questa direzione. Sembra voler prendere tempo per logorare l’Ucraina con un conflitto lungo. È fermo nella sua esplicita richiesta che si avviino trattative sulla base della sua proposta presentata durante i falliti negoziati con l’Ucraina dell’aprile 2022 a Istanbul, che conteneva richieste ritenute irricevibili da Kyiv sia in merito alla questione dei territori rivendicati da Putin sia in merito alle garanzie di sicurezza invocate dall’Ucraina. Il leader del Cremlino aveva fatto sapere sin da subito che né lui né il suo ministro degli Esteri Lavrov si sarebbero recati in Turchia e né tantomeno avrebbero incontrato Zelensky.

La politica di equilibrismo senza risultati

In realtà Putin non aveva mai fatto una dichiarazione ufficiale in cui affermava la sua disponibilità ad avviare i negoziati di pace, si era semplicemente limitato a rilasciare ai giornalisti che lo intervistavano una dichiarazione del tutto informale in cui diceva di non essere contrario all’avvio di negoziati a Istanbul. Nulla di più. Dunque, non deve sorprendere quest’ultimo fallimento nel tentativo di intavolare un negoziato di pace. È stato Trump a convincere Zelensky a cogliere al balzo queste parole lanciate da Putin in maniera del tutto informali e a chiedere la sponda di Erdoğan nell’ospitare le delegazioni russa e ucraina a Istanbul.
Ankara, che è in grado di dialogare sia con Putin che con Zelensky ha colto con slancio l’iniziativa di Trump contenta di essere tornata a svolgere il ruolo di facilitatore nel tentativo di far sedere al tavolo i due avversari. Ma, in realtà più che di una politica di moderazione e di equilibrio o di “neutralità proattiva”, come ama definirla il governo turco, la Turchia finora svolge una politica di equilibrismo tra Washington e Mosca e tra Kyiv e il Cremlino. Ha sempre mantenuto un dialogo costruttivo e una forte cooperazione con la Russia, ma lo ha fatto ancor di più con l’Ucraina, sostenendola militarmente e saldando una fortissima cooperazione strategica nel settore militare.

Il fallimento di Trump

Da un lato, la Turchia sostiene militarmente l’Ucraina, fornendo a Kyiv attrezzature difensive e di attacco essenziali, come i droni Bayraktar e ha chiuso gli stretti turchi alle navi militari russe, impedendo loro di entrare o uscire dal Mar Nero. D’altra parte, non ha aderito alle sanzioni occidentali contro la Russia e ha mantenuto con Mosca aperti i legami economici, regalando ad essa un accesso cruciale al commercio globale, ai mercati e allo spazio aereo.
Trump ha fallito nel suo dialogo con Putin e ha affidato all’amico Erdoğan il testimone di arbitro nella difficilissima trattativa con la promessa della revoca per Ankara delle sanzioni CAATSA, da esse subite per aver acquistato gli S-400 dalla Russia e il reintegro nel consorzio della produzione e acquisizione dei caccia F35.

In occidente si tende spesso a sopravvalutare fortemente il ruolo di Ankara in politica estera considerando la Turchia baricentro degli equilibri mediorientali e possibile mediatrice nella guerra della Russia contro l’Ucraina. In realtà la politica estera del leader turco è basata su pragmatismo e rafforzamento del potere in Patria. Erdoğan si muove in tutte le crisi che scoppiano nella regione come un funambolo che con abile equilibrismo cerca di ottenere il massimo vantaggio da entrambe le parti in conflitto.

Turchia tutta affari e sopravvalutazione

La sua politica estera ora è tutta affari: vendere prodotti per la difesa, inseguire contratti infrastrutturali e cercare accordi energetici, mentre è costretto a osservare i sauditi che ricoprono il ruolo di potenza regionale che un tempo il leader turco bramava. L’unica vera ideologia di Erdoğan è il potere assoluto e incontrollato. La tendenza di Erdogan, nei suoi 22 anni alla guida della Turchia è di spostare l’attenzione sulla politica estera quando in patria si profilano problemi politici o economici.
Recentemente lo ha fatto nel maggio 2022 Erdogan quando bloccò il previsto allargamento della NATO in un momento in cui il tasso di inflazione della Turchia stava salendo verso l’85%. Il leader turco tuttavia non è mai stato finora un attore così centrale nella geopolitica. Ci sono stati colpi di scena drammatici che lo hanno avvantaggiato, come la rielezione di Donald Trump in particolare, e soprattutto il cambio di regime in Siria.

Il sostegno dato da Erdogan ai ribelli siriani nell’ultimo decennio ha finalmente dato i suoi frutti, sia per loro che per lui, quando a dicembre hanno rovesciato l’ex presidente Bashar al-Assad, lasciando ad Ankara una forte influenza a Damasco e oltre, mentre la regione cercava di riprendersi dalla guerra. Ma molte delle paure che hanno i paesi della Nato, i Paesi dell’Europa orientale e del Mar Nero, in materia di sicurezza, sono condivise pienamente anche da Ankara perché un cambio di assetto nel Mar Nero, un cambio dei confini dell’Ucraina a vantaggio di Mosca sono da scongiurare per il governo turco. L’espansione russa è una minaccia alla sicurezza della Turchia che ribadisce la sua opposizione al riconoscimento della Crimea come territorio russo, il controllo di aree più ampie di quel mare oscuro sono fortemente avversate da Ankara che inoltre tiene molto alle minoranze turcofone in Crimea e nel Caucaso e teme l’aggressione della Russia alla Georgia, alla Moldavia.