Torna in mente la battuta di Nanni Moretti: mi si nota di più se vengo o se non vengo? Il vertice sulla tregua in Ucraina previsto oggi in Turchia dovrebbe mettere uno di fronte all’altro il russo Vladimir Putin e l’ucraino Volodymyr Zelensky. Tutto sembrava definito e pronto, ma ecco che si profila il rischio della solita sedia vacante, quella di Vladimir Putin. Viene o non viene? Lo hanno chiesto a Trump, che ha detto: “Non lo so: non è chiaro se Putin verrebbe anche se io non ci fossi, e io devo capire se lui verrebbe anche se non ci fossi io”.

Un groviglio senza né capo né coda. Putin ha dichiarato che il clima è cambiato per colpa degli occidentali che, con Macron in testa, vogliono garantire l’eventuale tregua. Putin ha detto che sarebbe disposto ad andare a Istanbul solo se ci fosse anche Trump, il quale ha risposto come abbiamo già detto. Il gioco della sedia è diventato un imbroglio di enigmi e ricatti. Finora questa tattica aveva funzionato per Putin, ma oggi c’è un elemento nuovo: il presidente americano da due settimane si dichiara preso in giro e vuole vedere se Putin ha davvero intenzione di sedere al tavolo senza trucchi e senza imbrogli, ed ecco che il russo minaccia di far saltare sedia e tavolo dandone la colpa a Macron, che minaccia di dispiegare le sue armi nucleari nei Paesi alleati europei. L’arrivo in scena di Leone XIV pesa a favore dell’Ucraina, per il Papa un Paese vittima che merita una pace stabile e giusta, dunque protetta.

L’enigmatico Putin

Finora il presidente russo ci ha abituati alle sue virtù di illusionista di procedere come un gambero, con un passo avanti e due indietro. Ha cominciato promettendo una solenne tregua sulle centrali energetiche, ma non l’ha mantenuta neppure per una notte. Poi disse che mai avrebbe trattato con Zelensky perché non lo considera un legittimo presidente del Paese che invade da tre anni. Ma ecco che poi sembra che ci abbia ripensato, e che anche Zelensky va bene e che l’incontro si può fare: è ufficiale, tutti in Turchia oggi e senza alcuna precondizione. Finora Putin ha sempre mollato all’ultimo momento e anche stavolta tiene tutti col fiato sospeso, confermando la celebre definizione che della Russia dette Winston Churchill: “È un rebus avvolto in un mistero che sta dentro un enigma”. Andrej Gromiko, nipote dell’omonimo e più celebre e longevo ministro degli Esteri, famoso per aver meritato il titolo di “Mister Nyet”, no a tutto, è stato allontanato dal think tank del Cremlino e manifesta apertamente la sua avversione contro la politica putiniana di traccheggiare, accertare e poi rinviare. Tuttavia, la delegazione russa in partenza si sta formando e il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha ripetuto ieri che la Russia è pronta a discutere con l’Ucraina a Istanbul, ma non ha ancora sciolto la riserva sulla presenza fisica del presidente russo Vladimir Putin. E poi c’è la Germania con il suo nuovo cancelliere di ferro Friedrich Merz, il quale, con un linguaggio che sarebbe stato impensabile nella bocca dei suoi predecessori Scholz e Merkel, ha detto che la posizione tedesca è oggi quella di chiamare a raccolta europei e americani per rifiutare una pace dettata dai termini della Russia. E ha detto che l’Ucraina non deve essere sottomessa all’imposizione di perdite territoriali contro la sua volontà. La Germania dà questi primi vigorosi segnali di voler tornare alla guida dell’Europa con una grinta simile a quella della vecchia Repubblica federale tedesca con Capitale Bonn, quando la Guerra Fredda era molto calda e la Germania occidentale contava molto di più di quanto abbia contato la Germania unificata.

Lo scenario

L’esigenza della pace in Ucraina è ormai un elemento fortemente spinto dall’economia: in Russia il partito dei grandi affaristi ha visto che dall’Ucraina c’è poco da ricavare e vorrebbe un rientro nella comunità internazionale con l’abolizione delle sanzioni, sia pur dando per scontato che occorrerà un lungo tempo di decantazione prima di essere riammessa nel consesso internazionale. Il cancelliere tedesco ha ripetuto che il suo Paese deve tornare al ruolo di locomotiva economica che rimetta in moto la crescita, e ha aggiunto che “non abbiamo mai conosciuto un periodo così lungo di mancata crescita economica nella storia del nostro Paese”. E dunque la nuova Germania conservatrice sembra avere molta fretta affinché la guerra d’invasione in Ucraina termini, e che termini non nei termini che Mosca vorrebbe imporre. In un editoriale su Le Monde, Sylvie Kauffmann scrive che Donald Trump farebbe bene a sbrigarsi a decidere chi sono gli aggrediti e chi gli aggressori, quali le dittature e quali le democrazie. Mentre, al contrario, la diplomazia a breve termine usata da Trump ferma la politica internazionale in un vicolo cieco.

L’arrivo di Trump

Il presidente americano intanto ha lasciato gli Stati Uniti ed è atterrato in Sud Arabia, accolto con tutti gli onori del tappeto rosso. In America comici e stand up si sono scatenati ed è di moda la battuta di Stephen Colbert, secondo cui i democratici americani dovrebbero approfittare della sua assenza per chiudere porte e aeroporti per far riprendere la vita politica ed economica. Trump è stato accolto dal principe saudita Mohammed bin Salman non solo con un untuoso tappeto rosso ma anche con un camion modificato per lui. Trump però passa le ore al telefono per sapere che aria tira a Istanbul e quali siano le ultime intenzioni di Putin che determineranno la sua decisione finale di essere o non essere presente alla trattativa. Le previsioni di successo per ora sono scarse e i bookmakers danno la sedia vacante al 90%.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.