Letture
Lo scaffale
A spasso nella magica Trieste con tre giganti del Novecento: Svevo, Joyce, Saba
In Trilogia triestina, Mauro Covacich racconta colossi come Svevo, Joyce, Saba. Una città affascinante e complessa, dove convivono influenze culturali diverse

«Trieste ha una scontrosa grazia. Se piace è come un ragazzaccio aspro e vorace, con gli occhi azzurri e mani troppo grandi per regalare un fiore; come un amore con gelosia». Non è bellissima questa definizione di Umberto Saba della sua città? «Una scontrosa grazia»: che ossimoro! Trieste in effetti è tutta una contraddizione: adagiata sul mare ma piena di salite e colli, Trieste italiana e asburgica, Trieste allegra e ventosa, c’è la Trieste intellettuale e la Trieste del porto: che carnevale! È in questo crogiuolo senza eguali che sono nati, o vi hanno abitato, letterati così illustri: Saba, appunto, e Italo Svevo e James Joyce, “dublinese-triestino”.
Ecco che un famoso scrittore di oggi, triestino anch’egli, Mauro Covacich, ha raccolto in un volumetto, “Trilogia triestina” (La Nave di Teseo), tre monologhi da lui scritti e interpretati a teatro: un tentativo, nell’ombra della scena, di far brillare i misteri di quei tre colossi del Novecento. Il risultato è molto bello, va detto subito. Pare di vederli (o meglio, di sentirli) quei tre. Di penetrarne in qualche modo il senso: giusto appena appena, con quei tre è impossibile farlo del tutto. Perché sono scrittori che definire “misteriosi” è davvero poco, ma un po’ rende l’idea: che dire di uno Svevo che dopo il fallimento di “Una vita” e “Senilità” butta via la penna – basta, ho chiuso con la letteratura – e dopo vent’anni la riprende in mano per scrivere un capolavoro come “La coscienza di Zeno”?
Il fatto è che i tre squadernano d’improvviso il Novecento mentre la Letteratura è ancora quella dei “fatti” e delle “trame”, l’Ottocento insomma, così gonfio di passione e sentimento. Poi Svevo legge Freud e rovescia il tavolo, inventando – dice Covacich – il romanzo di un vecchio bugiardo che scartabella nel suo Io come nessun altro personaggio della letteratura italiana aveva fatto prima. Quando a Trieste si incontreranno, lui e Joyce, si intenderanno al volo pur senza dirselo – parlavano di affari – perché qualche anno prima il gran dublinese aveva rivoltato il romanzo come un guanto. E un secolo dopo siamo ancora qui a scervellarci se l'”Ulisse” parli del nostro corpo o della nostra anima o più probabilmente di tutt’e due.
Joyce – ricorda Covacich – amava Trieste, questa «base lunare poliglotta con le antenne orientate verso Dublino». E Covacich ci porta infine da Saba, che ha fatto ancora una cosa diversa, ha usato la classicità del verso per muovere il vagone della modernità: «Ed è il pensiero della morte che, infine, aiuta a vivere». Ecco, prima sulle tavole di un palcoscenico e adesso in un libro, Mauro Covacich ci ha condotto in un veloce viaggio triestino, specchiandosi nella genialità di quei tre che in quella città cambiarono la storia della letteratura.
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