Un paradigma è una lente attraverso cui osserviamo il mondo. Introduce nuovi linguaggi e narrazioni, che non hanno affatto l’obiettivo di semplificare ma di dare vita a complessità inedite che richiedono risposte innovative. La “Legge n. 180” ha introdotto un nuovo paradigma nella gestione della salute mentale. Ha portato con sé un cambio di prospettiva che ha richiesto, e continua a chiedere, soluzioni audaci per le sfide emergenti di sempre, e di quelle rinnovate dalla pandemia. Spesso si è inclini ad accettare una netta separazione tra concetti opposti come “salute” e “malattia”, considerandoli chiari quanto la differenza tra pioggia e sole. Questi concetti, percepiti in modo categorico (positivo vs negativo), ci impediscono di riconoscere una connessione e una relazione dialettica tra di essi, ignorando la possibilità che la malattia possa rappresentare una fase della vita di qualcuno, un’opportunità di esplorare e appropriarsi di sé stessi, del proprio corpo e delle proprie esperienze, contribuendo così al benessere generale, come ricordava lo stesso Basaglia.

Esiste un legame tra paradigma e potenzialità organizzative e si svela nella sfera dei “diritti civili”. Mentre in passato gli ospedali psichiatrici dominavano questi diritti, nel nuovo paradigma sono i diritti civili a plasmare l’ospedale, generando nuove sfide, tra cui la ridefinizione stessa del concetto di “abitare” in salute mentale. E in questo contesto, l’“abitare” diviene un sistema intricato in cui ogni individuo può esprimere la propria unicità fondendosi nella diversità circostante. L’interdipendenza con l’ambiente emerge come pilastro dell’indipendenza, sfidando la concezione tradizionale. Il concetto di “abitare”, quindi, è cruciale, poiché riflette non solo la residenza fisica, ma anche l’integrazione armoniosa nell’ecosistema sociale, un intricato sistema di relazioni sociali in un tessuto di connessioni umane all’interno di un quartiere sicuro. I destinatari di un progetto abitativo non sono solo gli individui affetti da disturbi mentali, ma abbracciano anche le loro famiglie, gli operatori della salute mentale, i dipendenti pubblici e privati e l’intera cittadinanza.

In questo nuovo scenario, ci troviamo di fronte a una sfida collettiva, dove la creatività nell’affrontare le nuove problematiche diventa essenziale per costruire un modello organizzativo che rispecchi appieno il potenziale di ciascun individuo e della comunità nel suo complesso promuovendo salute mentale. Nonostante gli sforzi in corso, c’è ancora molto da fare a livello globale per dare la giusta attenzione a questo tema. Diverse dinamiche devono cambiare affinché si possano invertire le tendenze negative e porre fine alle violazioni dei diritti umani e alla discriminazione nei confronti delle persone con disturbi mentali e disabilità psicosociali. L’unico modello sostenibile in salute mentale è quello intriso di cultura sociale e individuale, che intrecci in modo sinergico l’idea di salute con casa, relazioni e diritti.

Sarebbe illusorio, oltre che drammaticamente anacronistico, ritenere che la “cura” possa essere confinata in un’unica sede. La “cura” richiede necessariamente un coinvolgimento sociale e politico, in senso più e meno lato. La vera salute risiede nella diversità, nelle possibilità inedite e nella fiducia in un futuro diversificato. Negli anni ‘50 e ‘60, molti esperti e leader politici europei si ribellarono all’idea che il trattamento delle malattie mentali dovesse avvenire attraverso lunghe degenze in ospedali psichiatrici. Disapprovarono i vecchi reparti psichiatrici, considerandoli obsoleti e poco terapeutici.

Tuttavia, la soluzione proposta fu più una ristrutturazione fisica che un cambiamento sostanziale nei metodi. Semplicemente si è assistito alla nascita di “nuove cronicictà” in edifici più piccoli o meno decentrati rispetto alle precedenti strutture. Con determinazione e competente coraggio, invece, è fondamentale costruire sistemi che vadano al di là della somma di linguaggi diversi e creino, invece, nuovi linguaggi capaci di generare una cultura innovativa orientata al benessere sociale e mentale. Alcune iniziative, come, ad esempio, i progetti europei HERO e CIVIC del Dipartimento di Salute Mentale della ASL Roma 2, hanno indicato alcune coordinate per un cambio di rotta: mettere al centro la persona nel suo contesto, operare per favorire la migliore convivenza con la sofferenza, aumentare la consapevolezza delle diversità personali e promuovere l’integrazione in reti di relazioni coinvolgendo l’interno territorio. L’obiettivo per le azioni di promozione della salute mentale, insomma, è quello di popolare l’ambiente con relazioni e connessioni autentiche, creando uno spazio in cui le diversità vengano accolte. “Vivere bene”, forse e in fin dei conti, è potere sperimentare la “solitudine” senza mai sentirsi veramente soli.