Proseguono i negoziati tra Israele e Hamas per un accordo sulla liberazione degli ostaggi e per una pausa della guerra a Gaza. A riportarlo sono media egiziani, ripresi poi da quelli israeliani. La sede per le trattative è Doha, dove sono arrivati “esperti degli Usa, dell’Egitto, del Qatar e di Israele, e rappresentanti di Hamas“. Questi colloqui sono un prosieguo di quanto discusso a Parigi e saranno seguiti da altre trattative al Cairo.

Accordo Israele-Hamas, l’impegno degli Stati Uniti

I segnali positivi arrivano da più parti. In primis dagli Stati Uniti, che hanno un ruolo non indifferente. Il consigliere alla Sicurezza nazionale della Casa Bianca Jake Sullivan alla Cnn ha parlato di “terreno di intesa” dopo i colloqui di Parigi tra Usa, Israele, Egitto e Qatar. “Si lavora e speriamo che nei prossimi giorni si possa arrivare al punto di un accordo finale”. Sarebbero stati raggiunti “i contorni fondamentali di un accordo” ha sottolineato Sullivan.

Accordo Israele-Hamas, la conferma e le richieste di Netanyahu

La conferma di passi avanti nei colloqui l’ha data anche il premier israeliano Benjamin Netanyahu, durante un’intervista a Cbs: “Stiamo lavorando un accordo per gli ostaggi. Voglio arrivare a un’intesa e apprezzo gli sforzi degli Stati Uniti. Non so se la raggiungeremo ma se Hamas riducesse le sue richieste deliranti per tornare alla realtà, allora un accordo ci sarebbe”.

Ma dall’altro lato, Netanyahu ha ricordato gli obiettivi del proprio esercito, ricordando come una volta che l’operazione militare a Rafah sarà avviata, mancheranno solo “settimane alla vittoria totale”.

Accordo su ostaggi e tregua, la frenata di Hamas

A essere meno ottimista e meno positiva è la parte di Hamas. Un leader anonimo del movimento islamista palestinese ha parlato all’emittente televisiva panaraba “Sky News Arabia”, dicendo che il clima di ottimismo sull’accordo è “irreale e non riflette la verità”. Poi il dito puntato contro Netanyahu: “Si sottrae alle richieste più importanti della resistenza di fermare l’aggressione, il ritiro completo e il ritorno degli sfollati al nord”. Inoltre, secondo il leader di Hamas, “l’uccisione per fame del popolo palestinese nel nord (della Striscia) è considerato un crimine di genocidio, che minaccia il corso dell’intero negoziato”.

Redazione

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