Mama Africa
La corsa
Addio alle basi francesi in Costa d’Avorio. La nuova stagione geopolitica in Africa
Proprio nell’ultimo giorno del 2024, il presidente ivoriano Alassane Ouattara ha annunciato pubblicamente – nel suo discorso di fine anno alla nazione – il ritorno della base militare francese di Port-Bouët (nei pressi di Abidjan) alla giurisdizione della Costa d’Avorio entro il termine di gennaio 2025. Dopo Senegal e Ciad – che avevano annunciato la chiusura delle basi francesi nel loro territorio alla fine del mese di novembre – anche il paese più amico di Parigi in Africa occidentale ha deciso quindi di fare lo stesso, in un’ondata sovranista che pare ormai inarrestabile in quella parte del continente. Subito dopo Ouattara ha precisato che non si tratta di un gesto a sorpresa, poiché il ridimensionamento e la riconfigurazione della presenza militare francese nel paese erano da tempo stati negoziati e concordati tra le due Capitali.
Il cambiamento di approccio
Secondo le prime indicazioni, dei 350 soldati francesi ospitati nella base di Port-Bouët rimarranno poche decine di istruttori, impiegati in corsi di formazione a beneficio delle forze ivoriane. Ciò riflette un cambiamento di approccio complessivo anche da parte di Parigi: la collaborazione in materia di sicurezza sarà concepita in Africa più come un sostegno alla preparazione degli eserciti locali, con operazioni di addestramento, che come un impegno sul terreno al fianco delle truppe locali, nella lotta contro il terrorismo jihadista, che affligge i paesi del Sahel e dell’Africa occidentale.
Restano solo due grandi basi
A questo punto – dopo la decisione di Senegal, Ciad e Costa d’Avorio e quella analoga adottata in precedenza dagli Stati golpisti del Sahel come Burkina Faso, Mali e Niger – resteranno solo due grandi basi militari francesi nel continente africano: una in Gabon e l’altra a Gibuti, per un totale di circa 1.800 militari d’Oltralpe rispetto agli 8.500 del periodo della forte collaborazione di sicurezza con gli Stati del Sahel, fino a tre anni fa. Nonostante lo stesso presidente Macron nelle sue dichiarazioni abbia accennato di condividere l’obiettivo di una riconfigurazione del dispiegamento militare francese in Africa, è evidente che Parigi non si aspettava un contraccolpo di tale portata nella regione, in cui la popolarità della Francia appare in caduta libera. Tanto più che la Difesa francese ha perso nel Sahel 58 militari caduti nei combattimenti contro la minaccia jihadista (11 ufficiali, 17 sotto-ufficiali e 30 soldati semplici, fra cui una donna), di cui nessuno sembra più ricordarsi, neanche in Europa.
La corsa per l’Africa
In un momento in cui si assiste alla più spregiudicata “corsa per l’ Africa” , avente per protagonisti la Russia, la Cina, i paesi del Golfo, la Turchia, l’ Iran e altri, il disfacimento dell’impalcatura francese comporta inevitabilmente riflessi per l’Italia, per l’Europa e per l’Occidente, prima di tutto in termini di flussi migratori incontrollati e di pericolo terrorista vicino alle nostre porte di casa. Ad ogni modo, è difficile immaginare per la Costa d’Avorio un allontanamento dalla sfera francese negli altri settori prioritari di tradizionale collaborazione, come quello economico, commerciale e culturale, in cui i legami tra i due paesi sono visibili a chiunque si trovi di passaggio ad Abidjan, Capitale tra le più moderne ed effervescenti del continente.
Il rafforzamento dei rapporti
Il presidente Ouattara – che non ha ancora fatto sapere se si candiderà per un terzo mandato consecutivo – ha ribadito nel suo discorso di fine anno il proprio impegno in favore della pace, della stabilità, della democrazia e del buon governo, declinati in Costa d’Avorio secondo i modelli occidentali. Da politico smaliziato e di lungo corso, ha però deciso di assecondare la forte ondata sovranista che sta colpendo un po’ tutti gli Stati del continente. Quanto alla Francia e al suo difficile rapporto attuale con l’Africa, è probabile che esso si fonderà in futuro più sul rafforzamento dei rapporti con le società civili e con i giovani, attraverso una più forte collaborazione culturale basata sugli strumenti delle borse di studio, di un’ampia offerta di corsi di formazione professionale, di una più generosa politica dei visti e di una moltiplicazione degli eventi congiunti. Anche perché gran parte della gioventù che contesta la presenza europea e occidentale nel continente è poi la stessa che ambisce a studiare negli istituti e nelle università di Parigi, Lione, Marsiglia e Montpellier.
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