Otto giorni dopo la riconquista da parte dei talebani della capitale Kabul, il caos regna ancora sovrano in Afghanistan. Proseguono infatti praticamente senza sosta le operazioni di evacuazione del personale diplomatico e dei collaboratori degli occidentali dall’aeroporto di Kabul, che resta il fronte più ‘caldo’ nello scontro tra Stati Uniti e il movimento islamico che ha ripreso il potere nel Paese.

Il presidente Usa Joe Biden ha spiegato che dal 14 agosto sono 28mila le persone evacuate, di cui 11mila nelle ultime 36 ore, per un totale, da luglio, circa “33mila persone” portate via dall’Afghanistan. La priorità, ha aggiunto il numero uno della Casa Bianca, è “portare tutti gli americani fuori da Kabul”, operazione che sarebbe stata “difficile e dolorosa” anche se fosse stata avviata “un mese fa”.

ULTIMATUM DEI TALEBANI AGLI USA – Ma nei rapporti tra gli “studenti Coronici” e gli Stati Uniti (e alleati) va segnalato anche l’ultimatum all’amministrazione Biden arrivato da Suhail Shaheen, uno dei portavoce dei talebani e membro del team di negoziazione del gruppo.

Intervistato da Sky News a Doha, Suhail Shaheen ha infatti avvertito: “Se Usa e Gran Bretagna cercheranno di guadagnare tempo per continuare le evacuazioni dall’Afghanistan ci saranno delle conseguenze”.

Il ritiro al 31 agosto, annunciato da Biden, è tassativo. “Se estendono il limite significa che stanno estendendo l’occupazione e non ce n’è bisogno”, ha spiegato il portavoce del gruppo, sottolineando inoltre che se “l’intenzione è continuare ad occupare” l’Afghanistan “si romperà la fiducia e ci sarà una reazione”.

Un ultimatum che non arriva per caso: come riferiscono i media britannici Boris Johnson, premier inglese, al vertice del G7 di domani farà pressioni sul presidente americano Joe Biden per posticipare il ritiro delle truppe Usa dall’Afghanistan oltre il 31 agosto, così che possano continuare le evacuazioni dei civili dall’aeroporto di Kabul.

SPARATORIA ALL’AEROPORTO – Ancora morti anche questa mattina all’aeroporto di Kabul, nei pressi dell’ingresso nord dello scalo. Un morto, un militare afghano, e tre  feriti sono stati registrati in scontri tra forze locali e assalitori non identificati, un conflitto a fuoco che ha visto coinvolti anche soldati tedeschi e americani. La notizia è stata data dalle Forze armate tedesche.

MASSOUD NON CEDE – Chi invece non vuole abbandonare la lotta è Ahmad Massud, figlio del ‘Leone’ del Panshir’ che negli anni ’80 fronteggiò i sovietici. Il leader della resistenza del nord-est del Paese nega le voci di una resa: “Abbiamo perso una battaglia, non la guerra, e io sono più determinato che mai. Abbandonare la lotta? È solo propaganda. Non è affatto così, non se ne parla, anzi la nostra resistenza, qui nel Panshir, è appena iniziata”.

Le voci di una ritirata sarebbero “pura disinformazione”. “Nessuna resa, confermo. Preferirei morire, piuttosto che arrendermi. Sono figlio di Ahmad Shah Massud: ‘resa’ è una parola che non esiste nel mio dizionario”, dice in una intervista concessa a Repubblica a Bernard-Henri Lévy.

Dall’altra parte Massoud non nega che contatti con i talebani siano avvenuti nei giorni scorsi, ma “parlare è una cosa, in qualsiasi guerra si parla. Mio padre ha sempre parlato con i nemici. Sempre. Persino nei momenti di guerra più aspri. Arrendersi però è un’altra cosa. E le ripeto che non se ne parla, non ci arrenderemo, né io né i miei uomini. Non se ne parla proprio”:

L’obiettivo per il figlio del ‘Leone del Panshir’ è uno: “Non accetterò mai una pace imposta, il cui unico merito sia l’apporto di stabilità. La libertà e i diritti umani sono beni di un valore incalcolabile, non si possono barattare con la stabilità di una prigione”.

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Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia