Morti innocenti, spari tra la gente, stese e pistoleri ragazzini. A Ponticelli la camorra dà prova di tutta la sua ferocia e la politica di tutte le sue carenze. Partiamo dalla camorra. Dopo l’impennata della tensione criminale e la ripresa delle stese delle scorse settimane, ieri, poco dopo le dieci del mattino al Rione Fiat, in via Eugenio Montale., a Ponticelli, un commando è entrato in azione raggiungendo uno degli appartamenti al piano terra nel complesso di edilizia popolare tutto degrado e cemento.

Ha ucciso Antimo Imperatore, 56 anni, operaio incensurato che stava riparando una zanzariera nella casa di Carlo Esposito, 29 anni appena compiuti e vero obiettivo dei killer che non gli hanno lasciato scampo nell’ambito di una faida interna al gruppo De Micco-De Martino. Imperatore, quindi, sarebbe una vittima innocente della camorra, se è vero quel che dicono nel quartiere e cioè che con la criminalità organizzata non aveva mai avuto nulla a che fare. Del resto, dagli archivi delle forze dell’ordine emerge solo che era stato controllato in passato, in qualche occasione, in compagnia di persone pregiudicate (cosa che non sorprende più di tanto perché quando si abita in un quartiere come Ponticelli può anche accadere di avere un amico di infanzia, un vicino di casa, un conoscente del rione che poi diventa camorrista). Quel che emerge è che Imperatore a 56 anni non era stato mai fermato, mai arrestato, mai accusato di reati. È morto crivellato di colpi perché si trovava nell’appartamento al momento del raid. Forse qualcosa di più si saprà dall’interrogatorio e dalle indagini in corso sulla persona che ieri, poche ore dopo il raid, si è consegnata ai carabinieri. Chi è? Perché si è consegnata? Forse per paura di finire a sua volta nel mirino dei killer? È possibile, è una pista.

Intanto sul luogo dell’agguato la moglie e i parenti di Imperatore dicono tra le lacrime: «Non era un criminale, era un padre di famiglia, lavorava per dieci euro al giorno». E tutto intorno è un via vai di curiosi, gente del quartiere che osserva la scena del crimine senza stupore, come chi assiste a uno spettacolo visto tante troppe volte, e senza particolari moti di indignazione, come chi è assuefatto o rassegnato. Eh già, perché da queste parti non è la prima volta che la camorra fa vittime innocenti. E non è nemmeno la prima volta che si sente l’eco dei proiettili. Agguati e stese sono all’ordine del giorno. E proprio per la stesa del due luglio scorso all’alba di ieri c’era stata la svolta nell’inchiesta che vede coinvolti quattro giovanissimi, incluso il figlio del boss De Luca Bossa e un minorenne poco più che adolescente.

Gli arresti sono scattati solo per i maggiorenni. Sono accusati di una sparatoria messa in atto per strada in pieno giorno, 60 metri di spari tra il fuggifuggi generale dei passanti e un’alta possibilità di fare vittime innocenti. «Come si può continuare a vivere così?». si chiede la gente del posto, quella che vive del proprio onesto e modesto lavoro. «Qui ogni volta che si esce di casa si teme di finire in mezzo a qualche sparatoria da innocenti». E la politica cosa ha fatto e cosa fa per questa gente? Per queste periferie? Basta mettere insieme i fatti di cronaca delle ultime settimane, degli ultimi mesi, degli ultimi anni per notare che si è fatto molto poco. Poco per la riqualificazione urbana, poco per le scuole, poco per i servizi.

«Lo avevamo gridato in tutti i modi: quanto dovremo aspettare per vedere delle risposte alla violenza nei quartieri? Negli scorsi mesi abbiamo provato a mantenere alta l’attenzione sulle violenze che insistono nella città e nella provincia, con comitati, mobilitazioni e denunce, con la nostra presenza quotidiana nelle realtà educative territoriali, con le associazioni di quartiere impegnate giorno e notte per costruire un’altra idea di vita e di comunità. Abbiamo reagito quando sono esplose bombe, dopo agguati e intimidazioni. Ma l’aria a Napoli continua ad essere irrespirabile. Le risposte della politica continuano ad essere tardive. Servono risposte strutturali in termini di sicurezza e politiche sociali, in termini di posti di lavoro e politiche educative che accompagnino i minori dentro e oltre la scuola fino ai diciotto anni», è il commento di Libera, l’associazione di don Ciotti contro le mafie. «Noi torneremo in strada a mobilitarci perché il silenzio è complice della camorra e perché nonostante il dolore e la stanchezza non ci arrendiamo ancora all’idea che si possa morire di camorra e che Napoli non possa avere le stesse opportunità che invece hanno altri luoghi del nostro Paese. Ed è questo che pretendiamo».

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).