Quando Agostino Di Bartolomei è morto il figlio Luca aveva undici anni. “Era un calciatore che ha vinto uno scudetto e ha rappresentato tanto da vivo, ma per molta gente ha lasciato più impronte da morto. È stata una persona di successo che da un quartiere umile è arrivata sul tetto d’Europa e poi è crollata, uccidendosi in quella stessa data dieci anni dopo, facendo un tonfo talmente rumoroso da andare oltre la sua vicenda personale. Trasformandola in collettiva. Quasi generazionale”, ha raccontato Luca Di Bartolomei in una lunga intervista a Il Corriere della Sera.

Ago, com’era soprannominato, era lo storico capitano della Roma, romano del quartiere popolare di Tormarancia. Campione d’Italia nel 1983, finalista della Coppa Campioni persa ai rigori dai giallorossi allo Stadio Olimpico, in casa, contro il Liverpool il 30 maggio 1984. Dopo la carriera da calciatore rimase ai margini del pianeta calcio per la personalità anomala rispetto a quel mondo. Con un colpo di pistola si tolse la vita dieci anni dopo quella finale, il 30 maggio 1994. Lasciò la moglie e due figli. Il figlio Luca è consulente aziendale, chiama il padre Agostino “perché fino ad ora l’incapacità di capire come vivere questa vicenda ha provocato una rabbia che ha eretto una specie di muro tra me e lui. Quasi invalicabile”.

Di Bartolomei ha accettato quella coincidenza dello sparo nel decennale di “una stupidissima partita di calcio”, come l’aveva definita, la finale di Coppa. “Ho accettato l’idea che ci si possa sentire manchevoli anche di fronte all’amore di un figlio e di una famiglia, che evidentemente non bastano a colmare le lacune del proprio animo”. Il trauma di un fallimento. “Non ho certezze né prove, ma dovendomi basare su indizi penso che si debba accettare questo messaggio, farci pace e andare avanti. Smetterla di chiamarlo Agostino e farlo tornare papà. In fondo la mia rabbia verso di lui è derivata proprio dal suo considerarsi più Ago che papà; più il campione che aveva fallito l’appuntamento più importante della sua carriera del padre che poteva essere. Però sto capendo che le persone vanno amate come sono, non per come vorremmo che fossero. I figli si amano quando sbagliano e questo deve valere anche per i genitori. Ma per amare persone che sbagliano devi essere in pace con te stesso. Io mi sono sempre sforzato di perdonarlo per quello che mi ha tolto, decidendo di andarsene quando ero ancora un bambino; adesso sto provando ad amarlo”.

Agostino Di Bartolomei si è ucciso con una pistola, il figlio è impegnato da tempo contro la detenzione personale di pistole e fucili. Quella morte, a Castellabbate in provincia di Salerno, fu una sorta di trauma generazionale. “È come se per quelli della sua età sbagliare fosse meno giustificabile rispetto a coloro che sono arrivati dopo. Forse anche per questo il suo gesto interroga molti. Agostino è stato mio padre, ma è anche il fratello di tanti di voi”. Per il figlio è come se rappresentasse il “potenziale fallimento che interroga tutti, e di fronte al quale rimaniamo senza parole o senza fiato. Prenderne atto attraverso una persona mitizzata nel luogo più incontaminato della nostra infanzia, il gioco, considerato una sorta di eroe del mondo in cui siamo stati e ci fa sentire ancora bambini, è una circostanza che atterrisce, ma suscita anche tanta pietà”.

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Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.