Lo stress da Coronavirus entra nel nostro cervello provocando reazioni sulle quali gli psicologi lavorano intensamente. La quarantena rappresenta una misura restrittiva che fa schizzare in alto la nostra ansia. “Provoca fantasie catastrofiche e un’ipocondria che molti non riescono a controllare. Ossia una forte paura della malattia che aumenta ancora di più se un soggetto, sanissimo, ha un banale colpo di tosse”, spiega Alberto Vito (nella foto, ndr), psicologo e psicoterapeuta familiare che nell’Azienda dei Colli (quella che comprende gli ospedali Cotugno, Monaldi e Cto) dirige l’unità semplice dipartimentale di Psicologia clinica.

“In azienda siamo otto, ognuno con una diversa tipologia contrattuale perché abbiamo anche borsisti e colleghi con contratti a progetto o a termine”, spiega lo specialista.  Aumentano i contagi, sale costantemente il numero dei ricoverati che riempiono le terapie intensive e i reparti di degenza dei tre ospedali dell’Azienda dei Colli. Paura per la malattia, speranza di superare un momento–no vissuto in assoluta solitudine. “Ai ricoverati manca il contatto con parenti e amici – ricorda Vito – Vivono una situazione di isolamento reale che attiva un enorme sconforto. In ospedale è vietato l’accesso agli estranei: è un divieto opportuno perché limita le possibilità di contagio, ma per i pazienti rappresenta quasi un castigo. Questo rappresenta un freno per la nostra attività che richiede un rapporto diretto e personale con chi è ricoverato. Oggi il nostro lavoro è modificato dalle regole imposte dalla pandemia, norme necessarie, ma che limitano i contatti con i ricoverati”.

Cosa vuol dire? Una persona positiva al Covid-19 è isolata dalla famiglia e dagli amici. Che tipo di aiuto può avere dagli psicologi? “Molti contatti sono soprattutto di sostegno telefonico per aiutare quelle persone a esternare ansie, speranze, preoccupazioni. C’è chi attiva le difese personali e sfoga la propria paura piangendo. Reazione naturale e corretta, altri hanno invece un senso di onnipotenza si considerano più forti della malattia dimostrando in questo modo superficialità. Cose che ci raccontano con gli smartphone”.

Ascoltando il dottore Vito si ha la sensazione che, all’interno di un ospedale, un paziente positivo al Coronavirus sia solo e abbandonato. “Assolutamente no – chiarisce lo psicologo – Se un ricoverato ha l’ossigeno per problemi respiratori, medici, virologi, infermieri e gli altri membri del personale sanitario gli prestano le cure lo aiutano a superare la solitudine con uno sguardo o con una carezza. Ogni collega regala fiducia a chi è ricoverato parlando e tenendolo per mano. È un sostegno importante. Purtroppo per noi psicologi le regole dell’isolamento sono rigide: lavoriamo per ridurre lo stress dei parenti di chi è ricoverato, ma soprattutto ci preoccupa quello del personale sanitario che ha paura di contagiare i propri cari. In ospedale l’isolamento obbligatorio frena il sostegno psicologico, ma sappiamo che ce ne sarà molto più bisogno quando sarà finita la pandemia”.