Fondatore di Sinistra per Israele, politico italiano storicamente impegnato nelle relazioni estere e oggi deputato per il Partito Democratico, Piero Fassino analizza gli ultimi sviluppi del conflitto mediorientale. A Gaza suonano gli ultimi rintocchi per salvare la gente palestinese, ostacolata da Hamas, dalla carestia, mentre nel mondo si diffondono, a macchia d’olio, scene di odio e di antisemitismo che rischiano di sfociare, come nel caso di Washington, in gesti estremi e irreparabili.

Nel pieno centro della capitale statunitense, due membri dell’ambasciata israeliana sono stati freddati a colpi di pistola. In tutto il mondo l’allerta è massima, con le ambasciate ebraiche poste sotto stretta sorveglianza. Dobbiamo aspettarci episodi estremi come questo anche in Italia? O ci sono differenze?

«È stato un attentato terribile, che ha colpito due diplomatici israeliani, peraltro impegnati in progetti di dialogo e cooperazione tra Israele e Palestina. Gli episodi di intolleranza e di aggressione al mondo ebraico, anche in Italia, sono all’ordine del giorno. Ieri un negozio di Milano ha affisso un cartello che vieta l’ingresso ai clienti israeliani. A Napoli un ristorante ha espulso due clienti israeliani. A Roma hanno imbrattato le vetrine di una libreria scrivendo “aveva ragione Hitler”. E non sono casi isolati. E addolora che questi atteggiamenti siano tollerati e giustificati, anche a sinistra, invocando la indignazione per come Netanyahu conduce la guerra di Gaza. Ma la giusta condanna di Netanyahu, la cui politica ha travalicato in ogni modo il diritto all’autodifesa, non giustifica in alcun modo che si identifichi tutta la società israeliana con il governo e ancora meno è accettabile che si aggredisca ogni ebreo, ovunque viva nel mondo, considerandolo complice di Netanyahu. È così che si diffonde un odio che può portare a prevaricazioni e violenze, anche le più estreme come è accaduto a Washington».

Parlavamo prima dei fatti avvenuti di recente a Milano e a Napoli. Come definisce, invece, quanto è accaduto nell’università di Torino?

«Un altro dei tanti episodi sconcertanti che da mesi accadono in Italia. Non si boicottano le università che sono luogo di ricerca e di incontro di culture. Peraltro le università israeliane sono uno dei soggetti principali della contestazione alla politica di Netanyahu. C’è un’Israele democratica che ogni giorno scende in piazza chiedendo di fermare la guerra e di riprendere un cammino di pace. Un fatto rimosso dalla tesi per cui qualsiasi israeliano è complice e colpevole di quello che Netanyahu fa. Un atteggiamento che offusca totalmente le responsabilità di Hamas, di certo non minori di quelle di Netanyahu».

Spostandoci sul piano internazionale, alcuni Paesi occidentali hanno scelto di allontanarsi da Israele, invocando lo stop alle operazioni militari e l’ipotesi di sanzioni contro lo Stato ebraico. Si tratta di misure efficaci? Per Netanyahu annientare Hamas è l’unica soluzione percorribile?

«Hamas non vuole la pace con Israele, di cui persegue invece la distruzione. Hamas ha trasformato Gaza in un gigantesco scudo umano. Ha condotto e conduce ogni giorno una guerriglia armata. E non dimentichiamo che non ha mai corrisposto alla richiesta dell’ONU di una liberazione “incondizionata” degli ostaggi. Combattere Hamas è necessario e giusto, anche se un’organizzazione terroristica può sempre rinascere, soprattutto se non si dà soluzione alla questione palestinese. Per questo è urgente fermare la guerra e riaprire la strada a una soluzione politica che come primo passaggio affidi Gaza a una guida palestinese indipendente, collegata con l’ANP. Quanto a eventuali sanzioni a Israele, un conto sono sanzioni individuali verso persone che hanno accertate responsabilità, altra cosa sono sanzioni generalizzate applicate indiscriminatamente all’intera società israeliana, che le vivrebbe come un’ingiusta colpevolizzazione, rinsaldando il consenso attorno a chi governa».

A proposito di chi governa, Netanyahu continua a essere bersagliato dalle proteste. Sono diversi i manifestanti che chiedono di tornare alle urne. Cosa succederebbe alla politica israeliana se ciò avvenisse?

«Partiamo da una considerazione: il massacro del 7 ottobre non è uno dei tanti attentati subiti negli anni da Israele, ma è il più grande massacro che lo Stato ebraico abbia subito dall’Olocausto. Gli israeliani lo hanno vissuto come uno shock che ha prodotto paura e una profonda sfiducia nella possibilità di una soluzione di convivenza tra israeliani e palestinesi. E Netanyahu cavalca proprio questa paura. Non so quando si andrà alle elezioni, ma non penso che Bibi si allontanerà mai dal potere senza passare per le urne. Mi auguro soltanto che, dopo il voto, prevalga quella Israele democratica che vediamo nelle piazze. Ma non diamolo per scontato, perché una società impaurita può reagire in molti modi. Per questo chi vuole la pace deve sostenere in ogni modo l’opposizione democratica israeliana».

Dalla politica israeliana passiamo a quella italiana. In quanto fondatore di Sinistra per Israele, è stato bersagliato da minacce e da insulti personali anche da parte di alcuni membri del suo stesso partito. Come si è sentito?

«Mi è dispiaciuto, e che l’aggressione venga anche da esponenti del mio partito mi sconcerta. Ho avuto la conferma che c’è un’area larga di persone – molte anche a sinistra – che agisce senza conoscere la complessità del conflitto ed esprime posizioni emotive. Ma anche di fronte alle tragedie più gravi non si deve mai perdere razionalità di analisi e di giudizio».

In conclusione, dunque, che ruolo deve avere la comunità internazionale in questo momento così buio?

«La comunità internazionale deve lavorare per ricostruire quella minima fiducia tra le parti necessaria per riaprire la strada a un’intesa. Qui possono giocare un ruolo importante i Paesi arabi moderati, a partire dall’Arabia Saudita di Bin Salman. È il leader del Paese arabo più importante, ha rapporti molto forti con gli Stati Uniti ed è anche l’unico in grado di offrire una doppia garanzia: ai palestinesi che avranno il loro Stato e a Israele che nessuno più’ metterà in discussione la sua esistenza e la sua sicurezza. E può giocare un ruolo anche l’Unione europea, a patto che assuma davvero un profilo “terzo”».