Yachierl Leiter, l’ambasciatore israeliano a Washington appariva esangue quando stato di shock annunciava alle telecamere che in una stradina adiacente il Capitol Jewish Museum, due diplomatici del suo Paese erano stati assassinati da un uomo che subito dopo ha urlato slogan filopalestinesi. Il turbamento ha coperto l’America intera perché un tale odioso delitto si è consumato là dove nessun terrorista aveva mai osato: a Washinton DC, nel centro pulsante della politica americana e del suo Parlamento. Alla sorpresa e alla rabbia si è aggiunto un sentimento di impotenza: come è possibile che nel cuore della capitale della maggior potenza mondiale, là dove abitano le agenzie di spionaggio e controspionaggio, salvo la CIA, non esisteva un meccanismo capace di sventare un attacco del genere? Dove è la falla? Dove il fallimento?

L’area più blindata

La sicurezza è ormai da anni in Occidente, una rete bucata attraverso cui è facile entrare. L’assassino è stato catturato ma solo perché dopo il delitto era andato a scandire i suoi slogan filo Hamas all’interno del museo ebraico dove era in corso un ricevimento per i giovani diplomatici. Si tratta dell’area della Washington più ufficiale blindata e videocamerata, l’area delle ambasciate e dei musei, del Parlamento del quartier generale dell’FBI, nonché del dipartimento della Giustizia con le sue imponenti colonne doriche. Il cuore di Washington DC sembrava, ma non è più, una fortezza inespugnabile perché assassino camminava armato e senza alcuna copertura, per commettere un delitto che cade come una mannaia sulla scena politica, militare, diplomatica e umana nel quartiere delle istituzioni, dalla gigantesca Avenue e che somiglia al Primo Arrondissement di Parigi, creato per gloria di Luigi quattordicesimo, imitato dall’Almerica indipendente dopo la fine della rivoluzione.

Chi è Elias Rodriguez, l’attentatore di Washington

L’uomo arrestato si chiama Elias Rodriguez, trentenne di Chicago, un perfetto sconosciuto che, dopo aver ucciso Yaron Lishinsky e Sarah Lynn Milgrim probabilmente aveva intenzione di uccidere altri israeliani e americani riuniti per una festa. Per quale altro motivo, anziché darsela a gambe, è rientrato nel Museo dopo aver assassinato Yaron e Sarah, giovani all’inizio della diplomatica diplomatici in carriera? L’ambasciatore Leiter ha spiegato alla stampa che i due stavano per fidanzarsi e che Yaron Lishinsky aveva in tasca l’anello di fidanzamento da offrire a Sarah durante una festa. Si erano conosciuti nell’ufficio in cui lavoravano e a due passi dal luogo in cui sono stati assassinati. Lei era bellissima con una divertita ironia nello sguardo e Yaron sorrideva, in attesa della proposta. La madre di Sara nella casa in cui era vissuta sua figlia a Prairie Village, Kansas, ha detto: “Era chiaro che si sarebbero sposati, ma non sapevo che Yaron avesse in tasca l’anello”.

L’antisemitismo dilagante

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha detto di sentirsi “oltraggiato” insieme al suo popolo e il ministro degli esteri Gideon Saar ha definito il duplice omicidio di Washington come “il frutto di un odio antisemita in costante crescita a partire dal mostruoso pogrom del 7 ottobre 2023”. Trump ha commentato con un post che “questo orribile doppio omicidio è frutto dell’antisemitismo che va stroncato immediatamente, aggiungendo che l’odio e il radicalismo devono essere estirpati dagli Stati Uniti d’America”. Trump ha sempre sostenuto che l’odio antisemita è figlio della tolleranza se non dell’incoraggiamento dell’amministrazione Biden. Si tratta, come è ovvio, di reazioni previste, probabilmente promosse da questo arri di violenza che colpisce dei diplomatici ebrei e mostra una devastante falla nella sicurezza americana. Blindare una vasta area con agenti in uniforme posti di blocco, videocamere accese, controllo di documenti non basta e non è un metodo accettato dagli americani se non in momenti di grande emergenza.

I segnali

Ciò che evidentemente manca non è l’apparato dispiegato quando il delitto è avvento, ma la tanto decantata intelligence, anche artificiale di cui tutti parlano in genere sproposito. Il problema è che se vuoi creare le premesse per una accia al potenziale terrorista, devi violare più meno tutte le garanzie del Free Speech: il diritto di pensare e dire anche cose orrende. I propositi di Trump si conoscono bene: nessun problema nel restringere le libertà fondamentali per ottenere l’allineamento dell’intero paese sulle direttive della Casa Bianca. Trump con la sua intransigenza vede aumentare la propria popolarità come è successo ieri l’altro quando ha teso una trappola al presidente del Sudafrica e i suoi dignitari, durante il consueto incontro nello studio ovale, ordinando improvvisamente che si tirasse giù uno schermo per guardare il filmato che mostrerebbe una fila di automobili in fuga di Afrikaaner bianchi che abbandonavano le loro fattorie e che sono stati tutti assassinati. Il presidente sudafricano farfugliava imbarazzatissimo ma Trump aveva intenzione di rovesciare l’accusa di razzismo applicata ai bianchi il dare un segnale di rappresaglia ai sudafricani per la loro politica nei confronti di Israele da loro accusato di genocidio.

La constatazione americana

Ancora una volta come dopo l’undici settembre del 2001 L’America si trova a constatare che tutta la forza delle polizie e dei servizi segreti è impotente ad anticipare le mosse dei terroristi. Sta di fatto che in Cina, per quanto se ne sa, il terrorismo politico è impensabile mentre nella Russia di Putin gli ucraini hanno dimostrato di poter colpire con dei loro commandos i generali più importanti nel corso della guerra. L’America peraltro non ha mai eccelso nella sicurezza come dimostrano i frequentissimi attentati ai presidenti negli ultimi sessant’anni. Inoltre, l’FBI è stato decapitato da Trump e tutti i capi delle agenzie dell’intelligence sono stati sostituiti da personale in genere privo di esperienza è scelto soltanto con criteri politici di appartenenza.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.