L'intervista
Fuori gli stranieri da Harvard, il rettore Giusti: “La bomba è esplosa dopo le contestazioni contro Israele. Trump? Un paladino della classe popolare”

Raggiungiamo il Rettore Carlo Alberto Giusti, Università degli studi Link di Roma, mentre è in viaggio negli Stati Uniti, per un colloquio sulla decisione della amministrazione Trump di imporre il divieto ad Harvard di iscrivere studenti stranieri.
Trump sembra deciso, è una guerra agli studenti internazionali?
«Intanto i primi quattro mesi della amministrazione Trump sono stati utili al mondo intero per prendere le misure con un presidente e con un suo modo di fare politica decisamente diverso da quello che era stato osservato durante il suo primo mandato. Questa volta Trump si è costruito una squadra di esecutori quali riescono pienamente a interpretare e porre in essere gli ordini esecutivi del presidente. Così si spiega la volontà espressa da parte della segretaria di Stato alla sicurezza nazionale, il ministro dell’interno di Christine Noem, a notificare alla più prestigiosa università americana nel mondo, Harvard, in Massachusetts, il divieto immediatamente esecutivo di iscrizione e frequenza per gli studenti stranieri».
Cosa cambia, con questo provvedimento?
«Da analisti dobbiamo valutare il peso e la portata fattuale di queste operazioni, lasciando da parte i titoli che i media di tutto il mondo hanno pubblicato in queste ore per provare ad arrivare a comprendere come Trump stia portando avanti una politica apprezzata da gran parte degli americani, ma molto impopolare all’estero. La battaglia di Trump contro i grandi atenei, non soltanto Harvard, ma anche Princeton e la Columbia University di New York, si installa in quella forte battaglia portata avanti durante i lunghi mesi di campagna elettorale dove Trump si è issato come paladino della classe popolare americana».
Una guerra anti-sistemica di Trump, che ritroviamo anche nelle turbolenze sui dazi?
«Trump è un presidente contro Wall Street, contro coloro che posseggono azioni quotate, Trump è un presidente contro gli atenei elitari, perché? Perché il popolo, a suo dire, è con lui. Un popolo che secondo lui soffre per le politiche democratiche degli ultimi anni e che quindi ritrova in Trump colui che può garantire di un riscatto, un riscatto sociale. Per questo se la prende con le politiche di inclusione che hanno stravolto in un certo senso l’idea di Stato americano».
Tutta l’amministrazione Trump è con lui?
«Ci sono differenze. Si vede il contrasto tra l’ala più dura di Steve Bannon e Elon Musk, ad esempio. Musk ha fondato delle aziende dove la maggior parte dei suoi ingegneri multimillionari sono provenienti dall’India, dalla Cina. E quindi si incastra male con l’idea Maga».
Hanno avuto un peso le campagne antiebraiche di tante università?
«Formalmente sì. Il dissenso contro il governo israeliano diventa uno degli argomenti. Israele resta uno dei partner democratici più importanti degli Stati Uniti d’America e proprio nelle grandi università americane il dissenso è stato portato avanti con contestazioni che sono state criticate dagli stessi rettori e presidenti delle università, le famose contestazioni contro Israele, le stesse manifestazioni pro-Pal, quindi pro-Palestina sono state la miccia che ha fatto poi esplodere la bomba».
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