L'editoriale
Almasri e il costo di sorvolare sull’etica. Così vacilla la ragion di Stato di Giorgia

La liberazione e il rimpatrio di generale libico Almasri sono stati dettati da un interesse superiore. In nome della sicurezza nazionale, il governo ha voluto (e forse dovuto) giocare le sue carte migliori. Premier compresa. La ragion di Stato esige, insegna la dottrina di Kissinger, di sorvolare perfino sull’etica. Tutti sanno quello che Almasri significa. Non è un santo, ma è espressione di quell’accordo con la Libia che è un pilastro della nostra realpolitik. E dunque la questione è geopolitica.
Il Mediterraneo è caldo. C’è Gaza. I migranti sono tornati ad attraversare il Canale di Sicilia. Talvolta, non arrivando. Assad è caduto e quel che resta della flotta russa di Tartus ora è in cerca di approdo. Quale occasione migliore, per Mosca, se non fare rotta su una costa nordafricana in disordine da sempre e da lì penetrare in un continente africano, dove poter fare da predone straniero a fianco di qualche dittatore locale?
Torniamo a Kissinger. E allora una Libia stabile val bene un criminale in libertà. Ecco che la ragion di Stato, cui ha fatto appello Giorgia Meloni, ha un senso. Tuttavia, la ragion di Stato deve dare un conto a somma positiva. Cosa ci torna in tasca dal rientro a casa di Almasri? Un freno sulle ondate dei migranti? Un rientro della Libia nel mercato energetico? L’avvio del Piano Mattei?
Nelle ultime settimane, la politica internazionale di Palazzo Chigi non ha fatto una piega. Su Almasri invece non tutto è chiaro: Meloni ha detto anche che la scelta di riportarlo a Tripoli è stata degli apparati di giustizia, della burocrazia e non della politica. Ma la premier deve rivendicare questo primato politico. E rimettere così la ragion di Stato al primo posto, senza infingimenti.
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